La storia di Garabandal presentata in nove lunghi capitoli arricchiti di tutti i dettagli (112 pagine)

Continuazione di Fatima

 

Capitolo primo

INIZIO DEGLI EVENTI

Un villaggio sperduto

Nel cuore delle montagne del nord della Spagna, nella provin­cia di Cantabria (Santander), non lontano dalle rive del Golfo di Biscaglia, sonnecchiava una modesta borgata: San Sebastian de Ga­rabandal. L'umile villaggio era rimasto sino a quel tempo isolato, senza telefono, senza radio, senza cinema, senza televisori, senza magne­tofoni, persino senza rotocalchi... Non c'era nemmeno la strada; la più vicina (e neanche molto agevole) passava nel fondovalle, vi­cino al paesetto di Cossio, a circa 6 chilometri. Per questa strada si poteva raggiungere «il mondo». Se, oltrepassato Cossio, si pren­deva a destra risalendo il corso del fiume Nansa, ci si trovava im­mersi nello scenario del romanzo di José Maria de Pereda, Penas Arriba; continuando più su, la valle di Polaciones e, più in alto, il colle di Piedras Luengas, gia in provincia di Palencia; qui inizia­va la discesa verso le terre dell'altopiano castigliano verso Leon. e, uscendo da Cossio, si piegava a sinistra, si raggiungeva rapida­mente Puentenansa, da dove si poteva scegliere la strada più di­retta per Santander attraverso il colle di Carmona e Cabezon de la Sal; oppure seguire il fiume Nansa sino alla foce, a Pesués, e di qui raggiungere per la strada costiera Santander sulla destra e, sulla sinistra, Oviedo, capitale delle Asturie. San Sebastian de Garabandal era dunque un povero paesino iso­lato, quasi al di fuori del tempo. Ed ecco che all'improvviso, quando nessuno lo avrebbe imma­ginato, nelle lunghe giornate di un mese di giugno questo borgo cominciò a uscire dal suo isolamento e dal suo secolare torpore.

Una data

Siamo a fine primavera del 1961, quando nell'aria c’è già sentore d'estate. 18 giugno, domenica, giorno del Signore. Sul tardo pomeriggio, un po' dopo la recita del rosario alla qua­le ha partecipato l'intero villaggio, quattro bambine (Nota: I nomi: Cochita  Gonzales, Maria Dolores (Loli) Mazon, Jacinta Gonzales, Mari Cruz Gonzalez; le prime tre di 12 anni e l’ultima di 11) non sanno che fare e si stanno annoiando. Ad un tratto viene loro l'idea, o la ten­tazione, di andare a raccogliere qualche mela (anche se acerba) in un orto lì vicino. Terminata la scappatella, si riposano chiacchierando, sedute sulle pietre irregolari di una mulattiera ruvida e ripida che tutti chia­mano «la Calleja» (la stradina). Lì si rendono conto d'aver fatto «qualcosa di male»; un furta­rello, ma pur sempre un peccato contro il settimo comandamento della Legge di Dio; il diavolo ha teso loro una trappola ed esse hanno offeso il Signore e la Vergine. Col pentimento, nasce in loro la reazione contro il tentatore. Decidendo di allontanarlo, cominciano a gettar sassi con gran for­za. Un modo per troncare definitivamente con lui. La pace sembra ritornata sotto il cielo sereno e opalescente di quella bella e monotona sera domenicale. Ma pace e noia vengono improvvisamente interrotte da una vio­lenta detonazione. «Oh, che tuono!». Un tuono davvero strano, in effetti, dal momento che non si scorge alcun segno di temporale. Ed ecco che poco dopo le quattro bambine cadono in ginoc­chio sulle aspre pietre della «Calleja» e contemplano in estasi, fuori di sé e dall'ambiente circostante, un essere, una figura luminosa che non è sicuramente «di questo mondo». «Ci appavre una figura bellissima avvolta di luci abbaglianti che però non ferivano gli occhi», scriverà più tardi una delle quattro piccole, Conchita. Di che si trattava? Lì per lì, le bambine seppero solo parlare di un Angelo. La notizia, comunque, mise immediatamente in subbuglio il vil­laggio, anche se all'inizio tutti si mostrarono scettici.

I quindici giorni dell'Angelo

 Il giorno seguente, lunedì 19 giugno, le quattro ragazzine, no­nostante gli eventi della vigilia e i numerosi commenti suscitati, dovettero sbrigare le quotidiane faccende domestiche. Ma verso sera, all'uscita di scuola, si recarono nuovamente a pregare alla «Cal­leja», nello stesso punto della sera prima, per vedere se l'«appari­zione» si rinnovasse. Ma non accadde nulla di ciò che si aspettavano. Avvenne inve­ce ciò che non avevano previsto: risatine di scherno e commenti malevoli, le consuete manifestazioni di chi è solito pensare «A me non la dai a bere...». Martedì 20, alla stessa ora, nuova visita alla «Calleja». Le ra­gazzine nutrivano in cuore la certezza che quanto era successo la domenica non poteva né essere senza motivo, né restare senza un seguito. Recitarono preghiere e rimasero in attesa; attesa dell'Angelo... che non si presentò, ma la cui presenza fu sostituita da un feno­meno molto misterioso e significativo: le piccole si videro avvolte all'improvviso da una sorprendente, intensa luce, che le isolava da tutto e le penetrava di un vivo e reverenziale «timor di Dio». L'indomani, mercoledì 21 giugno, l'Angelo riapparve. E da allora, per circa una settimana, rinnovò le sue visite quasi quotidianamente, intrattenendosi con loro a lungo, sebbene, per la felicità estatica che provavano, sembrava loro che ogni incon­tro durasse solo qualche minuto. Il sabato 24, festa di San Giovanni Battista, l'Angelo si presen­tò in maniera nuova. Come sempre appariva bellissimo e sorriden­te, con uno sguardo che penetrava sino in fondo l'anima delle piccole; ma, sotto di lui, la novità: brillava una scritta luminosa; o meglio, come scriverà più tardi Conchita, l'Angelo «portava sot­to di lui un cartello, ma noialtre non capivamo bene quel che volesse dire. Riuscivamo solo a leggere, alla prima riga, 'Hay que' (è necessa­rio che) e, all'ultima, XVIII-X-MCMLXI»... Oggi possiamo facil­mente cogliere ciò che le ragazzine non comprendevano: sul car­tello di cui parla Conchita, appariva dapprima il testo del brevis­simo messaggio che doveva essere divulgato il 18 ottobre di quel­l'anno, e, alla fine, le cifre romane indicanti la stessa data: 18 ot­tobre 1961. È facile immaginare lo scompiglio che questi fatti provocarono nel villaggio e in tutta la regione. Garabandal stava improvvisa­mente cessando di essere un paesino sperduto fra i monti, senza alcun interesse e dalla vita noiosa e monotona. Ogni pomeriggio le sue stradine si riempivano di gente e, all'ora della preghiera delle piccole, la «Calleja» e i dintorni pullulavano di fedeli e cu­riosi.

L'Angelo «preparava la via»...

Il 1 luglio era un sabato, e di conseguenza giorno mariano. Le bambine delle estasi dovevano essere state sufficientemente preparate a ricevere comunicazioni più precise: quel giorno, infat­ti, l'Angelo parlò loro chiaramente. «Ci parlò di molte cose», scriverà più tardi Conchita Gonzalez. Ma la più importante fu senza dubbio questa: «Vengo ad annun­ciarvi la visita della Madonna, con l'appellativo di Beata Vergine del Monte Carmelo. Ella vi apparirà domani, domenica». «Ben venga!» fu l'esclamazione unanime delle bambine. L'Angelo sorrideva... La data dell'evento non era scelta a caso: la Vergine di Naza­reth voleva iniziare una sua nuova visita sulla terra - visita che sa­rebbe stata lunga e affettuosa - il 2 luglio, giorno in cui la Chiesa celebra da secoli la festa della Visitazione di Maria alla cugina Elisabetta; ma la voleva iniziare presentandosi come Beata Vergi­ne del Carmelo per motivi profondi (che si sarebbero evidenziati a poco a poco), e non solo per manifestarsi nel mese di luglio, me­se legato dai tempi più remoti al suo appellativo più popolare. Quel giorno, le bambine, colme di gioia per l'annuncio che l'Angelo aveva appena fatto loro, si sfogarono a lungo e con piacere con lui... Lo avevano già contemplato molte volte, e già questa era stata una cosa bellissima; ma non avevano ancora potuto in­trattenere una vera e propria conversazione con il loro caro visita­tore. Era questa la ragione per cui desideravano ardentemente parlargli e porgli numerose domande. Quel giorno finalmente lo poterono fare; l'Angelo era disposto a parlare e ad ascoltarle senza reticenze. «Quel giorno ci parlò di molte cose... » La maggior parte di esse resterà sicuramente segreta, riguardando solo le quattro piccole interlocutrici. L'interrogativo più interessante, almeno per noi, fu quello che gli posero sul significato della scritta posta ai suoi piedi durante gli ultimi incontri. «Ve lo spiegherà la Vergine», fu la sua risposta. E prese congedo dicendo loro: «Tornerò domani con la Vergine». «Peccato che tu ci lasci!», fu l'esclamazione delle bambine. Tornò. Soltanto allora fu chiaro di che Angelo si trattasse. Era nientemeno che l'Arcangelo San Michele, il primo di tutti gli Spi­riti beati, il Principe della milizia celeste, l'Angelo delle lotte su­preme e definitive... Certo, durante le sue apparizioni alla «Calleja» si era presentato sotto sembianze infantili, per esprimere la freschezza e l'inno­cenza del suo essere, ma dando nello stesso tempo un'impressione di potenza e di autorità.

Finalmente, Lei!

Quel 2 luglio 1961 era due volte giorno di festa: cadeva di do­menica ed era la festa della Visitazione della Vergine Maria. Per Garabandal, i suoi abitanti e le sue montagne, fu un 2 luglio davvero unico, come mai se ne erano conosciuti nel corso di secoli. L'evento di quel giorno si produsse nello stesso luogo delle ap­parizioni dell'Angelo e a un'ora già piuttosto tarda di quel pome­riggio estivo e festivo. «Ci dirigemmo verso la "Calleja" per recitare il rosario come di consueto. Non eravamo ancora arrivate quando ci apparve la Vergine con due Angeli ai lati. Uno era San Michele; l'altro non lo conosce­vamo. Era vestito come San Michele. Si sarebbero detti due gemelli». Se le ragazze non sapevano allora quale fosse l'Angelo che sem­brava il fratello gemello di San Michele, lo appresero più tardi. Era un altro Arcangelo di primo rango, l'Angelo dell'Annuncia­zione e dei grandi messaggi divini: San Gabriele. L'Apparizione celeste si presentò davvero, secondo l’annuncio dell'Angelo della «Calleja», come quella della Beata Vergine del Monte Carmelo. Ciò risultava chiaramente dal caratteristico grande scapolare che Ella teneva in mano. Le bambine lo compresero su­bito, benché i suoi abiti non corrispondessero molto a quelli che si vedono di solito sulle statue della «Virgen del Carmen» (come quella che si venerava nella chiesa del loro villaggio). Su queste statue, la Vergine del Monte Carmelo appare vestita da carmelitana, portando l'abito caratteristico dei religiosi e delle religiose dell'Ordine: tunica e scapolare marrone e mantello bian­co. Mentre nell'apparizione di Garabandal... ma vediamo ciò che scrisse Conchita nel suo diario: «La Vergine viene con un abito bianco, un manto azzurro e una corona di piccole stelle dorate; non si vedono i suoi piedi... mostra uno scapolare nella mano destra; lo scapolare era di colore marrone. Ha i capelli lunghi e mossi, di colore castano scuro... Il viso allunga­to, il naso lungo, fine, la bocca molto bella con le labbra un po' gros­se. La carnagione e' bruna... La voce è incantevole; una voce incomparabile che non posso descrivere. Nessuna donna assomiglia alla Vergine, né nella voce, né in niente altro!» Se teniamo conto della povertà del lessico di quelle bambine, cresciute in un villaggio senza comunicazioni, la descrizione di Con­chita ci appare ammirevole, pur essendo certi che tale descrizione riflette in modo imperfetto la meravigliosa visione che i loro occhi contemplarono. Sebbene abbagliante e magnifica, come Regina e Signora senza pari, la Vergine Maria si mostrò fin dal primi istanti affettuosamente familiare ed accogliente. «Quel giorno [quello della prima apparizione il 2 luglio], abbia­mo parlato molto con la Vergine e Lei con noi: le dicevamo tutto. Le dicevamo, per esempio, che andavamo nei campi, che eravamo ab­bronzate, che avevamo ammucchiato il fieno. E Lei rideva!... Quan­te cose Le dicevamo!... » La chiacchierata delle bambine con la loro bellissima e dolcissi­ma Visitatrice doveva veramente essere stata affascinante: intrisa di freschezza, di spontaneità, di semplicità. «Guardandola, avevamo sgranato il nostro rosario, Lei lo recitava con noi per insegnarci a recitarlo bene. Alla fine del rosario, ci disse che se ne sarebbe andata. Le chiedem­mo di restare ancora un po', perché era rimasta troppo poco. Lei ride­va e ci disse che sarebbe tornata lunedì. Quando partì, provammo una gran tristezza». Fin da questa prima visita della Vergine, Garabandal comincia­va ad essere «segno di contraddizione». «Quand'Ella se ne andò, la gente ci circondò per baciarci e do­mandarci quello che Lei ci aveva detto... Alcuni però non ci cre­devano». Quale poteva essere il motivo di questa diffidenza, di questa incredulità? Il fatto che le ragazze, durante la lunga estasi, erano state trop­po loquaci e troppo fiduciose. La gente diceva: «Come può la Vergine dire e ascoltare così tante cose? ». Per essi, la Vergine doveva mostrarsi come un personaggio ste­reotipo e lontano, che non poteva «perdere tempo» a parlare e ad ascoltare cose di poca importanza, ma solo dire poche e solenni parole... Il fatto è che alcuni - forse molti - diffidarono e negarono un possibile intervento del Cielo, incappando in un ostacolo che, in­vece, i «semplici di cuore» superano così facilmente. Infatti le quattro ragazzine, per esempio, senza cultura e senza pregiudizi, colsero immediatamente perché la Vergine, apparsa loro, accettasse di parlare tanto e di ascoltare tanto. Ecco la giusta osservazione di Conchita nel suo diario: «Eppure la maggior parte della gente credeva. Dicevano che era un po' come una madre che non abbia visto sua figlia da tanto tempo: quando la rivede, sua figlia le racconta tutto. A maggior ragione noi che non l'avevamo mai vista. E Lei era la "Nostra Madre del Cielo!». Troviamo qui la prima chiave che ci permette di comprendere i fatti di Garabandal: non si trattava di una apparizione come le altre, destinata ad attirare fortemente la nostra attenzione e a la­sciarci poi un messaggio... Si trattava di una venuta della Vergine per «stare con noi», perché La sentissimo come mai prima, intima e definitivamente nella sua realtà di «Nostra Madre». Che fosse Nostra Madre lo sapevamo per dottrina, per fede. Ma avevamo bisogno di sperimentarlo a sazietà, in modo forte e dol­ce, per lungo tempo e attraverso le più diverse prove. Per questo motivo risulta incontestabile (almeno per me) che quel 2 luglio 1961 ebbe inizio sulla terra la migliore Epifania della Nostra Madre celeste. Si potrebbero certo fornire molti dettagli su questo incontro con la Vergine. Ma più che dettagli, è importante ritenerne l'essenzia­le. Conchita stessa ce lo rivela con queste parole: «Così terminò la domenica 2 luglio. Giorno felice, poiché abbia­mo visto per la prima volta la Vergine! Sebbene con Lei tutti possia­mo stare, purché lo desideriamo!» Quale miglior conclusione per il primo capitolo di questa nuova visita di Maria? Ella non cessa mai di stare con noi, nonostante si lasci vedere solo in rare occasioni. L'importante è che noi desi­deriamo e facciamo in modo di stare con Lei...

 

Capitolo secondo

LUGLIO 1961 IL MISTERO SI DILATA

La Vergine-Madre non è solo di passaggio

Lunedì 3 luglio la Madre ritorna alla stessa ora vespertina del giorno precedente. «Mentre arrivavamo al “Cuadro”, la Vergine ci apparve con il Bambino Gesù; gli Angeli però non l'accompagnavano». Due considerazioni: gli spiriti beati, avendo compiuto la loro missione di preparare la via e di realizzare la presenza, si ritrasse­ro discretamente perché tutta l'attenzione fosse focalizzata su Colei che era più importante di tutti; Colei che veniva soprattutto ad esercitare la sua maternità nei nostri confronti, si presentava con il «Figlio primogenito» (Lc 2,7) per proclamare che dalla Sua Ma­ternità divina deriva pure la Sua maternità nei nostri confronti, incorporati al Figlio come fratelli minori, «figli per adozione dello stesso Padre» (Rm 8,29). «Veniva sempre sorridente, come pure il Bambino Gesù. La nostra prima domanda fu dove si trovassero San Michele e l'altro Angelo: e Lei sorrideva ancora di più». «La gente e i sacerdoti che erano la ci davano degli oggetti perché Glieli facessimo baciare, e Lei li baciava tutti... » «Ci parlava molto, ma non ci permetteva di ripetere le Sue parole». Il fatto che abbia parlato molto anche in questo secondo giorno della Sua manifestazione, senza permettere che le sue parole ve­nissero riferite, merita la nostra attenzione. Doveva consentire alle veggenti qualche capriccio infantile (quale madre, quale buona pedagoga non lo fa?) ma doveva innanzi tutto compiere la Sua missione: aiutare e orientare i Suoi figli verso quella sottomissione ai disegni di Dio che non sono mai sinonimo di co­modità. Per questo motivo parlò molto in quel pomeriggio; e sempre a questo scopo avrebbe continuato a parlare nel corso di molti altri pomeriggi. Ciò che diceva per tutti o per molti si sarebbe saputo a tempo debito; quello che ribadiva a queste bambine, che erano Suo strumento, sarebbe rimasto per sempre segreto personale di ciascuna di loro. In questo si è realizzato ciò che la piccola suor Teresa diceva in merito alla sua propria esperienza spirituale: «Molte pagine della mia storia non saranno mai conosciute quaggiù». In occasione di questa seconda apparizione della Vergine, quel lunedì 3 luglio 1961, sopravvennero due fenomeni concomitanti che credo non si siano prodotti in nessun altro luogo di apparizio­ni mariane: le Chiamate e i Baci.

Le Chiamate

Torniamo al diario di Conchita. «Quando si avvicinò l'ora in cui avevamo visto la Vergine il gior­no prima, i nostri genitori, che già ci credevano un po' di più, ci dissero: "Dovreste andare a recitare il rosario al Cuadro". Rispondemmo: "Non siamo ancora state chiamate". Rimasero perplessi e aggiunsero: "Ma come? Che cosa significa?" Allora spie­gammo loro che "era come una voce interiore che non udivamo con la orecchie, e che nemmeno sentivamo chiamarci con i nostri nomi...» «Ci sono tre chiamate... » La ragazza spiega che sono come tre soprassalti di una improvvisa gioia interiore; essi vanno in «cre­scendo», di modo che al terzo richiamo non possono più resistere e si precipitano verso il luogo dell'apparizione. Fra due richiami, specie fra il primo e il secondo, poteva passare un tempo abba­stanza lungo. Questo fenomeno si produceva solo quando la Ver­gine stava per venire; le visite dell'Angelo non erano precedute da questa «preparazione». L'esistenza di queste chiamate interiori è stata verificata in più di una circostanza. La prima esperienza ebbe luogo il 3 luglio quando le ragazze ne parlarono per la prima volta. «Avevamo descritto ai nostri genitori come avvenivano le chiama­te; ed essi erano rimasti molto stupiti. Alla fine della nostra conversa­zione, percepimmo una chiamata e lo riferimmo. Eravamo lì tutte e quattro insieme, e molta gente si accalcava intorno a noi. Alcuni dis­sero a Don Valentin, il parroco del villaggio: "Perché non mettere due ragazze in casa di Loli e due in casa di Conchita?" Ci separammo dunque per vedere se ci saremmo ritrovate tutte e quattro nello stesso momento. Una mezz 'ora più tardi ci fu la secon­da chiamata... Infine, ci trovammo insieme al "Cuadro" nello stesso momento. La gente era stupefatta... » Sul fenomeno delle «chiamate» delle ragazze abbondano infor­mazioni e aneddoti.

I Baci

 Sempre a proposito di quello stesso 3 luglio, un'altra annotazio­ne di Conchita indica: «La gente e i sacerdoti ci affidavano oggetti perché li facessimo ba­ciare dalla Vergine, e Lei li baciava tutti». Era l'occasione propizia, per coloro che non erano come le bam­bine privilegiate dalle visioni, di entrare in contatto più stretto con la Madonna. La Madre vi corrispondeva con affettuosa deli­catezza. Padre Ramon Maria Andréu s.j. - testimone privilegiato degli eventi di Garabandal durante quell'estate del '61 - scrisse nella sua informativa: «Si è spesso parlato di sassolini quando le ragazze ebbero le vi­sioni. Si trattava di piccole pietre della grandezza di una caramel­la. Esse le raccoglievano dal suolo durante le loro estasi, oppure le portavano con sé prima di cadere in estasi; le presentavano da baciare alla Madonna e poi le consegnavano a diverse persone co­me ricordo o in segno di perdono». Questo avvenne specialmente durante le prime settimane: in se­guito, tutti gli oggetti baciati furono oggetti religiosi: crocifissi, medaglie, immagini, scapolari... Padre Ramon Andréu ricorda ancora: «E’ normale vedere le ra­gazze con rosari, medaglie, crocifissi appesi al collo; sono oggetti che il pubblico affida loro affinché la Vergine li baci». E’ stato ripetutamente provato che le ragazze, durante questi fe­nomeni, malgrado la quantità di oggetti che passavano loro fra le mani e che presentavano al bacio della Madonna, non sbagliavano mai nel restituirli al legittimo proprietario. Lo facevano senza ab­bassare la testa: durante l'estasi tenevano lo sguardo fisso al Cie­lo, dunque senza poter guardare le persone presenti, anche perché gli interessati si trovavano spesso fuori dalla loro portata o si era­no deliberatamente nascosti. A tutti gli astanti era chiaro che una mano invisibile guidava quella delle ragazze. L'apparizione del martedì 4 luglio doveva rivelarsi anch'essa me­morabile: «C'era il rosario alla 7 di sera nella chiesa parrocchiale, ed ecco sentimmo una chiamata. La chiesa era piena di gente. L'alta­re maggiore era affollato da una dozzina di sacerdoti e da fotografi che scattavano delle foto. Alla fine del rosario, avevamo avuto due chiamate. Partimmo di corsa verso il "Cuadro" e la gente correva dietro di noi. Mari-Cruz ed io restammo in estasi un po' più in alto rispetto a Loli e Jacinta: noi due nel "Cuadro", le altre due al di fuori. La gente diceva allora che, nonostante avessimo corso, non eravamo af­fannate e sudate. Loro invece sudavano ed arrivavano tutti affaticati e ansimanti. Cosa strana per essi; ma per noi era come se la Vergine ci portasse!» Secondo i numerosi testimoni di questi fenomeni, la corsa delle ragazze verso il luogo dell'apparizione, quando ricevevano il terzo richiamo, era semplicemente impressionante. Nessuno avrebbe po­tuto seguirle. A ragione, nel suo diario, Conchita dice a questo proposito che era la Vergine a portarle; era naturale allora che, es­sendo trascinate da una forza misteriosa, esse non provassero né stanchezza, né fatica, né affanno, né sudassero. Quella apparizione del 4 luglio fu di grande importanza per via dei messaggi della Celeste Visitatrice. «La Vergine, sempre sorridente, ci disse: "Sapete cosa voleva dire la scritta ai piedi dell'Angelo?" Esclamammo all’unisono: “No, non lo sappiamo”. "Portava un messaggio, che vi darò, perché voi, il 18 ottobre, lo diciate a tutti". E ce lo disse». Così, con linguaggio spoglio, infantile, Conchita ricorda l'ini­zio di una serie di spiegazioni che, a partire da quel giorno, la Ver­gine diede sui significati e la portata del Messaggio che sarebbe stato reso noto solo in seguito. A quelle contadinelle doveva spie­gare persino il significato di termini che a noi paiono più che co­muni e usuali. Devo qui manifestare la mia ammirazione per la pedagogia divina e il modo in cui è stata esercitata a Garabandal. Nel suo diario, Conchita attesta con una brevissima aggiunta che la Vergine le diede il messaggio fin dal 2 luglio, all'epoca della prima apparizione e che ne cominciò la spiegazione il 4 luglio poi­ché le giovani veggenti «facevano confusione» e non erano in gra­do di comprenderlo nella forma dovuta. Le spiegazioni della celeste Madre e Maestra continuarono per tutto il mese. Questo non lo sappiamo dal diario di Conchita, che non ci dice nulla delle giornate successive al 4 luglio (forse perché nel loro contenuto soprannaturale erano tutte molto simili), ma ne siamo a conoscenza grazie al contributo di alcuni te­stimoni. Da uno di essi, il comandante della stazione della Guardia Civil di Puentenansa, Juan Alvarez Seco, abbiamo una testimonianza autorevole: «Quel 28 luglio le veggenti si trovavano in estasi al "Cuadro", molto serie, completamente rapite da ciò che la Vergine insegnava o raccomandava loro... Ad alcune scendevano grosse lacrime (co­me anche a molte persone presenti che non riuscivano a trattenere l'e­mozione). Quando l'estasi finì, le bambine parlarono con Don Valentin che disse in seguito, in un silenzio profondo, a tutti quelli che si trovavano là: "La Vergine sta incaricando le bambine di da­re un messaggio che per ora non possono rivelare, né alloro parro­co, né ai loro genitori, né a Monsignor Vescovo ».

Comunioni misteriose

 L'Angelo che aveva così spesso visitato le ragazze durante l'ul­tima decade di giugno e accompagnato la Vergine quel gran gior­no del 2 luglio, rimase poi una settimana senza apparire. Tornò l'8 del mese. Quel giorno e il giorno seguente, si profuse maggior­mente in confidenze con le bambine. «Ci baciò sulle guance e sulla fronte... Ci baciò mentre eravamo allineate» (Conchita). Si trattava sicuramente dell'inizio di una nuova fase di comuni­cazioni celesti poiché in quei giorni (il martedì 11 luglio, con tutta probabilità) si manifestò un altro vistoso fenomeno, causa di turba­mento e di imbarazzo per alcuni: il fatto che le ragazze ricevevano la comunione dalle mani di un essere invisibile. Si cominciò a chia­marlo, in maniera abbastanza impropria, «comunione mistica». Negli appunti di Don Valentin, ho trovato questa breve relazione: «Il giorno 11-12-13 (luglio) le bambine riferirono di aver fatto la comunione», ed è la prima volta che se ne parla. Queste comu­nioni avvenivano sempre all'ora e nel luogo che l'Angelo indicava in precedenza. Allorquando le ragazze diedero notizia al parroco che «l'Angelo dava loro la comunione», egli fece loro delle domande e poi si espresse in questi termini: «Mi dicono che l'Angelo fa co­me me, quando distribuisco la comunione». Coloro che talvolta assistevano a queste comunioni non vede­vano né l'Angelo, né la Santa Ostia; ma potevano constatare at­traverso i gesti e i movimenti che le ragazze si stavano effettiva­mente comunicando. Dopo una breve esortazione dell'Angelo a pensare a Colui che stavano per ricevere... recitavano la preghiera di penitenza «Con­fesso a Dio Onnipotente... » Poi l'Angelo deponeva la Santa Ostia sulla lingua delle comunicande; in seguito, esse, su sua indicazio­ne, recitavano con devozione: «Anima di Cristo santificatemi…» In genere tutto ciò durava dai 10 ai 15 minuti. Abbiamo la prova che l'Angelo veniva a dare la comunione sol­tanto quando nel villaggio non c'era alcun prete in grado di farlo. È lo stile della Provvidenza: venire in aiuto con mezzi straordina­ri quando non possiamo ricorrere ai mezzi ordinari. Con queste comunioni fuori dell'ordinario, Dio voleva forse sot­tolineare per noi l'importanza capitale dell'Eucarestia, sacramen­to con cui il Salvatore stesso, Gesù in persona, si dona a noi con affetto, per operare nelle nostre anime, in modo diretto, la Sua opera di Salvezza.

Cammini estatici

In quel mese di luglio 1961 si assistette a Garabandal al fatto sorprendente che lo straordinario diveniva quotidiano, il prodigioso quasi normale... Ogni giorno portava con sé l'incontro o gli incontri delle ragaz­ze e degli spettatori con le realtà superiori e invisibili. Le piccole entravano e uscivano dalle loro estasi con assoluta naturalezza, e parlavano di quelle meraviglie come si parla delle cose di tutti i giorni. La stessa cosa capitava agli abitanti del villaggio. Soltanto i nuovi venuti di ogni giorno, i forestieri che giungevano da luo­ghi sempre più lontani, erano colpiti dalla sorprendente novità e dalla eccezionalità di tutto ciò che osservavano in quel borgo ap­partato. A metà mese, però, si manifestò un evento di assoluta novità per tutti. Fino ad allora, le apparizioni si erano sempre, o quasi sempre, svolte in quel luogo della «Calleja» che veniva chiamato «Cuadro», e, in genere, le bambine non si muovevano dal posto in cui l'estasi era cominciata: ma verso la metà di quel mese ebbe­ro inizio degli spostamenti, dei movimenti che subito vennero chia­mati «cammini estatici» («marchas estaticas»). Non mi valgo di prove formali per affermarlo, ma ho idea che le marce estatiche siano cominciate il 16 luglio, festa della Vergi­ne del Carmelo, o meglio del Monte Carmelo. La prima marcia estatica condusse, lungo un sentiero ripido e accidentato del paese, ad un'altura sopra il villaggio chiamata «i Pini», per via dei nove alberi che vi erano cresciuti solitari. Per l'importanza e il ruolo che detta collina non tardò ad avere in quella che potremmo chia­mare la «dinamica di Garabandal», tale luogo può essere conside­rato il nuovo Monte Carmelo della presenza di Maria tra i suoi. Il pomeriggio di quella domenica 16 luglio ci fu in chiesa la reci­ta del rosario, alla quale presero parte tutto il paese e molti fore­stieri. Alla fine, due delle ragazze, Conchita e Loli, uscirono dalla chiesa già in estasi. Con passo maestoso si diressero verso la «Cal­leja», teatro di tante apparizioni... Tuttavia, stavolta, non vi si fer­marono. Era molto difficile seguirle, e molti furono coloro che vi rinunciarono. Eppure qualcuno vi riuscì e ce ne ha fatto un racconto dal quale estrapolo solo poche righe: «Non volavano, come è stato detto talvolta da coloro che le vedevano da lontano o in penombra; non volavano, ed io potei constatarlo perché fui come incollato a loro per tutta la durata della marcia. I loro piedi erano poggiati al suo­lo, ma in una maniera che non saprei spiegare. Sembrava che i lo­ro piedi avessero occhi per vedere dove posarsi (esse mantenevano per tutto il tempo la testa rivolta in su, guardando verso il cielo). Non inciampavano mai, malgrado i molti sassi e le molte pietre che rendevano aspro il sentiero, malgrado i tanti rovi e le spine nell'ultima parte della salita. Camminavano con una leggerezza, con un ritmo e un portamento che non si possono descrivere. Io caddi più volte e inciampai spesso, eppure allora ero un uomo gio­vane e forte. Sudando e ansimando, mi tenni sempre alla loro al­tezza e non volevo perdere nulla di quella meravigliosa ascensione. Giunte sul posto, caddero in ginocchio davanti ad uno dei pini come se Qualcuno ve le depositasse delicatamente. Restarono in­ginocchiate un bel po', pregando, parlando, sorridendo... Era dif­ficile captare ciò che stessero dicendo, al di fuori di qualche parola isolata. Fu durante quel tempo passato presso "i Pini" che ebbi l'occasione di contemplare quanto fossero straordinari il riso e il sorriso delle ragazze in estasi. Ridevano con tutte se stesse, ma era un comportamento che non aveva nulla a che fare con ciò che si suol chiamare "ridere a crepapelle". Sembravano straripare di una gioia interiore, credo che fossero colme di una felicità a noi sconosciuta... La discesa da "i Pini" ebbe più o meno le stesse caratteristiche della salita, e tutto ebbe termine davanti alle porte della chiesa. Quando le ragazze tornarono in sé, potei facilmente constatare con piacere che non si erano ferite né alle gambe, né alle ginocchia (ben­ché fossero cadute in ginocchio molte volte sulle grezze pietre del­la "Calleja"). Se questo non è un miracolo, che persone più intelligenti si incarichino di spiegarmelo. Un altro particolare che mi sorprese molto fu che le ragazze, dopo questa corsa che lasciava tutti noi sfiancati, non provavano né fa­tica né pesantezza, come se nulla fosse successo. Non si erano rese conto di ciò che si era prodotto intorno a loro; avevano l'impres­sione di non essersi mosse da lì e credevano che la loro estasi fosse durata solo pochi minuti: in realtà, era durata almeno due ore». Da questa seconda quindicina di luglio, i cammini estatici costi­tuirono a Garabandal uno dei fenomeni più vistosi e frequenti; centinaia di persone possono testimoniare le loro esperienze indi­menticabili. Possiamo domandarci quale fosse la causa di questi spostamenti delle ragazze in estasi: non troviamo altre spiegazioni che quella di un misterioso spostamento della Visione stessa. Questa teneva le quattro piccole come se fossero completamente sospese, irresi­stibilmente calamitate... e, senza alcuna violenza, le portava con sé dovunque volesse. Possiamo davvero affermare che le ragazze non seguivano la Visione, ma erano piuttosto trasportate da Lei. Per descrivere con quanta dolcezza e potenza venivano traspor­tate, facciamo affidamento sulle constatazioni del signor Lorenzo Otero: - le bambine camminavano senza alcuno sforzo e senza render­si conto del cambiamento di luogo; - talvolta si spostavano a velocità sorprendente, come se «aves­sero le ali ai piedi», secondo l'espressione immaginifica di un te­stimone; - perdevano la nozione del tempo: le ore sembravano loro «bre­vissimi minuti»; - alla fine delle marce, che sfiancavano coloro che tentavano di seguirle, erano fresche e calme come al risveglio da un sonno ri­storatore. All'inizio, le ragazze vivevano solo per se stesse questi cammini estatici... In seguito, divennero di frequente «strumenti» di par­tecipazione per gli astanti: stupenda condivisione concretizzata in preghiere e cantici. «Un giorno, la Vergine raccomandò a una delle ragazze di reci­tare il rosario in chiesa dopo l'estasi. La bambina trovò la chiesa chiusa: allora cominciò la preghiera davanti al portale; lì entrò di nuovo in estasi e la Vergine le chiese di pregare più forte affinché la gente prendesse parte alla preghiera. La veggente obbedì, e il tutto si trasformò in un delizioso rosario per le viuzze del villag­gio. La ragazza in estasi camminava davanti, la gente la seguiva dietro; la piccola recitava a voce alta e posata la prima parte della preghiera e la gente recitava con devozione la seconda. La ragazza non contava le Ave Maria di ogni decina, ma non sbagliava nes­sun Mistero; la Madonna la avvertiva sempre per il "Gloria". Que­sto successe anche in molte altre occasioni». Il numero e l'importanza delle marce estatiche andavano in cre­scendo. Per molti, i migliori soggiorni a Garabandal restano legati a queste marce che hanno lasciato ricordi indelebili.

Filo diretto con il cielo

Le piccole, durante le loro estasi, restavano sottratte alla realtà di quaggiù: lo si poté verificare in ripetute occasioni. Alcune di queste esperienze, avvenute durante il primo periodo di Garaban­dal, l'estate del '61, ci sono narrate dal Padre Ramon Andréu. «Nei fenomeni di Garabandal occorre distinguere due "campi": quello degli spettatori e quello delle ragazze. Lo spettatore vede le bambine e la loro maniera di agire - movimenti, riso o lacrime, parole, insensibilità al dolore, ecc. - ma non vede l'Apparizione. Al contrario, le bambine contemplano l'Apparizione, stanno al co­spetto della sua luce, colgono le sue parole..., ma non vedono nul­la al di fuori di ciò, non percepiscono il pubblico che le circonda (benché lo sappiano presente, poiché spesso glielo comunica l'Ap­parizione). Si vedono l'una l'altra durante le loro estasi, ma se una di loro ne esce (smettendo di contemplare l'Apparizione), mentre le altre continuano, queste ultime, automaticamente, cessano di vedere la loro compagna, poiché essa è uscita dal loro campo. All'inizio, lo spettatore non prendeva assolutamente parte a ciò che si produceva durante l'estasi; in seguito, cominciò a parteci­parvi poco a poco... » Questa partecipazione si realizzava non solo attraverso gli og­getti che numerosi astanti ricevevano dall'una o dall'altra ragazza in estasi, oggetti che avevano precedentemente affidato loro per essere offerti al bacio della Vergine, ma anche attraverso la pre­senza mediatrice delle bambine. Misteriosi messaggi andavano e venivano. Si formulavano delle domande, si ottenevano delle ri­sposte. Le domande, spesso personali, non sempre passavano attraver­so le veggenti; talvolta sgorgavano direttamente, senza parole, verso la Beata Vergine, senza alcuna espressione esteriore, trasmesse con il pensiero o con un forte desiderio che solo Dio conosceva... Ma se le domande, talvolta gli slanci dell' anima, potevano raggiunge­re la loro destinazione senza passare per l'azione mediatrice delle ragazze, le risposte scendevano abitualmente per loro tramite. Due racconti chiariranno meglio ciò che accadeva. «Una signora pregò insistentemente la veggente, prima dell'e­stasi, di chiedere alla Vergine Santissima se suo marito credesse veramente in Dio. Dopo l'estasi, ebbe la risposta: "Sì, crede in Dio, ma molto poco nella Madonna; ma crederà". Il tutto si spie­ga poiché si sa (la ragazza non lo sapeva) che quell'uomo era pro­testante. In seguito si convertì al cattolicesimo. Un'altra volta, un uomo, inginocchiato, chiedeva con fervore, ma solo mentalmente, la conversione del genero. Ad un tratto, una delle veggenti in estasi si accostò a lui e gli disse all'orecchio: "Si". Con qualche altro che si trovava in prossimità, sentimmo perfet­tamente. Quando chiesi alla ragazza perché avesse detto così, mi disse: "La Vergine mi ha detto: vedi quell'uomo? Digli di sì". Io avrei proprio voluto sapere con cosa fosse in relazione quel sì, ma lei mi disse: "Non lo so, la Madonna mi ha solo detto in quel mo­mento di voltarmi e di dire di sì". L'interessato però comprese benissimo il senso e la portata di quel monosillabo affermativo». Non c'è dubbio: le quattro ragazze durante le loro estasi si tro­vavano totalmente fuori dal «nostro mondo»... ma non se ne di­sinteressavano. Tramite loro, si stabiliva una comunicazione affettuosa tra coloro che vivono in questo mondo e coloro che abi­tano l'altro, i quali ci seguono con attenzione e ci aspettano di là.

La richiesta di un miracolo

Ben presto, con il ripetersi delle comunicazioni delle bambine con la loro Visione, si manifestò la supplica per un miracolo. Con quasi assoluta certezza possiamo ritenere che questa richiesta non sia sorta spontaneamente dalle ragazze; fu vivamente sollecitata dall'esterno, da gente che chiedeva un miracolo indiscutibile per poter credere a tutto ciò senza più dubbio alcuno. Forse il parroco medesimo pensò per primo a un grande miracolo che venisse a li­berarlo dalle sue perplessità e dalle sollecitazioni contrastanti di varie persone. Padre Ramon Andréu scrisse poco dopo quelle date: «Da quan­do Don Valentin ha detto alle bambine di chiedere un miracolo alla Vergine per disporre di una prova valida e poter credere senza alcun dubbio, esse lo hanno più volte sollecitato. All'inizio, la Ver­gine sorrideva; in seguito pare che "si sia fatta seria"... E le bam­bine a insistere: molti non credono, non crederanno senza miracolo; ma la Madonna ripeté a più riprese: "Fra poco crederanno ». La supplica non era rivolta solo alla Madonna; dalle annotazio­ni di Don Valentin, sappiamo che quel famoso 16 luglio, festa del­la Beata Vergine del Monte Carmelo (e quell'anno per di più di domenica), le ragazze ebbero un nuovo incontro con l'Angelo che si mostrò loro sempre sorridente... Ma «quando gli domandammo un segno, si fece serio». Sembra dunque che la richiesta così insistente di un miracolo (che sicuramente si pretendeva molto spettacolare) non fosse fa­vorevolmente accolta dal Cielo... Si cadeva ancora una volta in una situazione che già dispiacque molto a Gesù durante la sua vita tra noi. «Allora, alcuni scribi e farisei lo interpellarono: "Vogliamo vedere un segno chiaro (vale a dire qualcosa di prodigioso) fatto da Te". Ma Egli replicò loro: "Generazione malvagia e perversa! Un segno è quello che mi chiedete? Ebbene, non vi sarà dato altro segno se non quello del profeta Giona"» (Mt 12, 38-39). Quoti­dianamente, Gesù dava loro «prove» su di sé e sulla sua missione e tuttavia essi, uomini pieni di superbia e di pregiudizi, continua­vano a chiederGli di dimostrare con un prodigio la sua identità e la sua missione. Alla luce di questo episodio evangelico, riusciamo a capire me­glio la richiesta di un miracolo a Garabandal. I prodigi non erano gia stati numerosi e quasi quotidiani? Non si sarebbe potuta ripe­tere l'apostrofe di Gesù risorto ai due discepoli di Emmaus «Co­me siete insensati e duri di cuore nel credere! » (Lc 24, 25)? Questa resistenza all'azione di Dio, per mancanza di una dispo­sizione del cuore all'umiltà e alla semplicità, Gesù la denunciò più di una volta sino a rinfacciarla, nell'ultima ora, al gruppo scelto dei Dodici. E altrove: « Se non vedete continuamente dei segni e dei prodi­gi, non credete» (Gv 4,48), rispose al funzionario di Cafarnao ve­nuto a chiederGli la guarigione del figlio. Infine, agli Apostoli, nel momento dell'Ascensione, «rimprove­rò loro la mancanza di fede e la durezza del loro cuore perché non avevano creduto a coloro che l'avevano visto risorto» (Mc 16,14). Tuttavia, benché la Vergine non potesse accogliere con compia­cenza questa insistente supplica, segno di una mancanza di fidu­cia nella sua inesauribile pazienza di Madre, Ella decise di non lasciarla inascoltata. Padre Ramon Maria Andréu poté allora scri­vere: «Le bambine affermano di aver sentito la Madonna dire che ci sarà un miracolo, ma non sanno quando esso avverrà, né in che cosa consisterà».

Una Commissione contro, due religiosi a favore

Si tratta di due fatti distinti ma concomitanti, ricchi di conse­guenze per la causa di Garabandal. Il primo fu la posizione ostile frettolosamente adottata dalla Com­missione d'inchiesta che si stava costituendo a Santander, capo­luogo della diocesi, incaricata di studiare e analizzare l'insieme degli eventi. L'altra fu l'arrivo a Garabandal di due gesuiti, Ramon e Luis Maria Andréu, spinti solo, come tanti altri, nella loro prima visita alla borgata, da una naturale curiosità. Né l'uno né l'altro (come nessuno dei molti che vi si recavano) potevano sospettare l'impor­tanza che quella visita avrebbe in seguito rivestito nella loro vita e nello svolgimento generale dei fatti. I membri della Commissione d'inchiesta concepirono rapidamen­te un piano per porre termine alla questione Garabandal: «disam­bientare», distruggerne l'atmosfera. Essi credevano che tutto quello - che accadeva poteva in effetti essere il risultato dell'atmosfera, del­l'ambiente così speciale del villaggio e della sua ubicazione. Deci­sero dunque di allontanarne Conchita, che sembrava avere la personalità più spiccata e influire sulle altre bambine veggenti con un ascendente sospetto. Organizzarono come una specie di «sequestro». Dico una spe­cie... perché non fu un sequestro in piena regola con violenza e brutalità. La ragazzina non fu strappata al suo villaggio con la for­za, ma fu allontanata con procedimenti che non sono mai stati to­talmente chiariti. A proposito della estasi del 26 luglio, affidata al suo diario e alla quale dà notevole importanza, Conchita ricorda di aver chie­sto alla Vergine, su raccomandazione di sua madre, se la lasciasse partire per Santander. I membri della Commissione avevano già messo tutto a punto, e nell'operazione buona parte l'ebbe un sa­cerdote che intervenne efficacemente: Don Luis Gonzàlez, ex-par­roco di Garabandal, che a quell'epoca si trovava in una parrocchia di Santander, Nostra Signora della Consolazione. Era il miglior intermediario per convincere Aniceta, la madre di Conchita. A questa donna buona, ma sempre sospettosa, venne detto che il viaggio aveva per scopo un importante colloquio con il Vescovo, al fine di chiarire una volta per tutte quell'insiéme difatti strani che già preoccupavano tanto lei e d'altronde molti altri. Ma nel piano della Commissione non c'era solo la visita della bambina al Vescovo. Conchita lo capì immediatamente e lo scrisse laconica­mente nel suo diario: «Volevano portarmi a Santander perché dice­vano che ero io a influenzare le altre... Mi portarono via per costruire le "prove" contro di me». La mattina del 27 luglio, le due viaggiatrici, madre e figlia, la­sciarono il villaggio in compagnia del menzionato sacerdote Don Luis Gonzàlez. Molto presto quel pomeriggio raggiunsero Santan­der; al calar della notte, Conchita diede spettacolo senza volerlo, cadendo in estasi praticamente in mezzo alla strada, davanti alla porta della chiesa della Consolazione (alla stessa ora - cosa appura­ta in seguito - le altre bambine veggenti erano anch'esse cadute in estasi, pur essendo rimaste a Garabandal, a circa 90 chilometri di distanza dalla «pericolosa influenza» di Conchita!). Per quest'ultima, cominciò il giorno stesso l'esame programma­to da due membri della Commissione, il medico José Luis Piùal e il sacerdote Don Francisco Odriozola. Agli «esami» di carattere più o meno psichico o psicologico si aggiunse una forte cura di «cambiamento d'atmosfera»: spiaggia, spettacoli, divertimenti, ecc. (Santander celebra in quel periodo le sue feste estive). Mentre la ragazza si trovava in quell'ambiente così decisamente diverso, non ebbe più estasi. Chiunque può ca­pire quale impatto abbiano avuto tutte queste novità sulla sensi­bilità di un'adolescente così sveglia strappata d'improvviso al luogo raccolto e austero della sua montagna. Con questa cura intensiva di mondanità, e utilizzando duran­te i colloqui con la ragazza un misto di adulazione e di minac­cia, coloro che agivano in nome della Commissione raggiunsero infine il risultato che apparentemente speravano: strappare a Con­chita delle «prove» contro la veridicità di tutto ciò che succedeva al paese. Queste «prove» risultarono poi essere una dichiarazione ambi­gua della bambina: «Forse ciò che mi riguarda non è sicuro, ma per quanto riguarda le altre bambine, sì...», e una firma «in bian­co» su un foglio di carta dove pare non ci fosse niente di scritto, ma sul quale qualsiasi cosa avrebbe potuto essere scritta, dopo. Indubbiamente, in questo piccolo dramma, Conchita non ebbe nulla dell'eroina: ma che dire della maniera di procedere di coloro che erano lì per servire la verità e la giustizia? Era stato previsto di trattenere a lungo la bambina a Santan­der, e questo a lei non sarebbe dispiaciuto; ma sua madre Aniceta che, rassicurata, era presto tornata al paese lasciando sua figlia in buone mani, tornò all'improvviso, otto giorni più tardi, per por­tarla via. Aveva pieno diritto di farlo e nessuno poté impedirglielo. Così si concluse lo strano episodio che fu il primo punto oscuro, fonte di confusione per il futuro di Garabandal, così luminoso sotto tanto aspetti. L'altro fatto importante di quella fine di luglio si produsse du­rante il soggiorno di Conchita a Santander. Abbiamo già detto che fu la prima salita a Garabandal dei due padri gesuiti, Ramon e Luis Maria Andréu. Quel 29 luglio doveva restare per Garabandal uno dei giorni più ricchi difatti e particolari sorprendenti. La relazione di tali eventi figura nel mio libro già più volte citato. Qui, per necessità di concisione, mi limiterò alle esperienze personali dei due religiosi. La cosa migliore è cedere la parola a uno di loro, Padre Ramon, di cui riportiamo un'intervista: «Come lei può supporre, io non pensavo affatto, all'epoca della mia prima visita a Garabandal, che mi sarebbe stato concesso di assistere a fatti e fenomeni degni di seria attenzione... Se mi sono deciso a salirvi nonostante i molti miei impegni, fu soltanto per non respingere l'insistente richiesta di alcuni amici, e anche perché avevo bisogno di qualche giorno di riposo. - Ma suo fratello, Padre Luis Maria, credeva già a tutto questo? - Niente affatto! Né lui, né io avevamo alcuna prova. Credo che nessuna persona accorta accetti questo genere di fenomeni senza una buona dose di prove o motivi. - Come avvenne esattamente quello che Conchita riassume nel suo diario? - Ecco. Alla fine del pomeriggio, ci ritrovammo ai Pini. Loli e Jacinta erano in estasi. Non erano circondate da molti curiosi, così potei stare molto vicino a loro. Le sentii perfettamente parlare con la Madonna a voce bassa, quasi in sordina (caratteristica tipica del loro modo di parlare in estasi), ma non colsi tutto, solo delle frasi sconnesse. Dopo otto o dieci minuti, ebbi l'idea che potesse trattarsi di un caso di ipnotismo. Guardai attentamente i presenti, per scoprire la possibile causa dell'ipnotismo. Osservai Don Valentin, Ceferi­no, Julia, gli altri... Tutti i volti riflettevano un'espressione di am­mirata sorpresa, che allontanava ogni ipotesi di un loro intervento come agenti ipnotici. Sembravano più disposti a essere essi stessi ipnotizzati che a influenzare qualcuno in tal senso. Prima di allora avevo gia visto le bambine entrare e uscire dal­l'estasi, ma sempre tutte e due contemporaneamente, come se aves­sero un' anima sola. Mi venne improvvisamente in mente un'idea che mi parve interessante come prova di veridicità e dissi mental­mente: "Se questo è vero, che una delle ragazze torni in sé, men­tre l'altra rimanga in estasi". Nello stesso istante, Loli, che era più vicina, si voltò verso di me e mi guardò sorridendo... Come se niente fosse successo, le chiesi: "Ma tu non vedi più la Madonna?" "No, signore". "E perché?" "Perché se ne è andata". "Andata? Guarda Jacinta!..." Loli la guardò: il suo viso si illuminò di un enorme sorriso, era la prima volta che vedeva una compagna in estasi mentre lei non lo era. Allora le chiesi: "Cosa ti ha detto la Vergine?" Aprì la bocca per rispondermi quando di nuovo entrò in estasi. Mi avvicinai molto a lei e potei sentire Jacinta: "Loli, perché te ne sei andata?" Ma Loli parlava di nuovo con l'Apparizione e Le diceva: "Perché te ne sei andata?... Ah, è per questo? perché lui creda?" Mi voltai verso mio fratello Luis e gli dissi: "Fa' molta atten­zione a quello che pensi, perché qui la trasmissione del pensiero è folgorante!" - E lei, padre, ha creduto in quel momento? - Quello che era successo mi aveva colpito molto e mi faceva pensare che non si trattasse affatto di una commedia. Ma da questo al credere seriamente, senza riserve, vi è una di­stanza che non si colma così facilmente. Una cosa resta tuttavia certa, se mi rifaccio all'insieme dei fatti ai quali ho assistito (con uno scetticismo talvolta eccessivo, lo confesso): posso qui di nuo­vo affermare che non si trattava di commedia o simulazione da parte delle bambine»". Così, quel 29 luglio, a dispetto del loro scetticismo d'altra parte rapidamente scosso, entrarono nella storia di Garabandal due fra­telli, sacerdoti e religiosi, che sarebbero stati fortemente implica­ti, in seguito, nello svolgersi degli eventi.

 

Capitolo Terzo

UN AGOSTO FUORI SERIE

«Santa Maria, Madre di Dio e Madre nostra... »

Il mese cominciò con un fatto che sembrò allora senza grande importanza, ma che in seguito si rivelò una chiave per compren­dere i misteri di Garabandal. Il primo del mese era un martedì, giorno che sembra avere un legame particolare con i Pini. Le bambine ebbero lassù estasi in tre ore diverse della giornata: a metà mattina, a mezzogiorno, a metà pomeriggio. Durante l'estasi di mezzogiorno, ora dell'Angelus, si sentirono distintamente le piccole che recitavano l'Ave Maria apporvi una modifica preziosa: «Santa Maria, Madre di Dio e Madre nostra». Possiamo segnalare senza dubbio questo momento come uno dei più significativi per Garabandal. Da parte mia, non ho nessun dubbio: questa «Epifania maria­na», così abbondante e così ricca, si riassume in questo «Madre nostra» delle bambine nella loro preghiera estatica. Occorre leg­gervi un riassunto delle manifestazioni di Maria a Garabandal, nel suo preciso desiderio di essere capita e considerata prima di tutto come nostra «Madre». Le bambine che ogni giorno sperimentavano (e in che modo!) le attenzioni di Maria che si protende maternamente verso di noi, dovettero, dopo questa aggiunta spontanea alla più popolare pre­ghiera mariana, comprendere sicuramente meglio il perché di quei misteriosi eventi. Il giorno 3 avvenne per la prima volta il fenomeno delle «cadu­te estatiche». A fine pomeriggio, Conchita tornava al paese, do­po aver terminato il penoso allontanamento a Santander. L'indomani, 4 agosto, il magnetofono, divenuto oggi così cor­rente e familiare, ma che suscitava allora molta curiosità, entrò nella storia di Garabandal. Una persona di Salamanca ne aveva portato uno. Registrò - sem­bra - una breve frase pronunciata dalla voce dolcissima di Colei che conversava con Loli in estasi. La notizia si sparse nel villaggio come sensazionale: «Hanno registrato la voce della Madonna su un apparecchio». Alla fine della giornata, Conchita, che non era stata in estasi con le altre, ricevette un messaggio della Vergine riguardo a ciò che sarebbe dovuto accadere in seguito e che costituì uno dei fe­nomeni più sconcertanti di Garabandal. La ragazza ne parlò così in quella notte del 4 agosto a sua madre e sua zia (Massimina): «La Madonna mi ha detto che verrà un tempo in cui noi stesse giun­geremo a negare di averLa vista, poiché noi dubitiamo di tutto... E quasi tutti dubiteranno». In quei primi giorni d'agosto, le marce estatiche si fecero quoti­diane. Era sempre uno spettacolo affascinante e improntato a una grande devozione. Il 5 agosto, per esempio, alle due del pomerig­gio, Loli, Conchita e Jacinta andarono oltre i Pini. Là si inginoc­chiarono e poco dopo chiesero: «Ci andiamo? Dove? In chiesa?» Intrapresero allora la discesa dai Pini a una velocità sorprendente, con la testa sempre completamente rivolta verso l'alto, senza te­mere né ostacoli, né di scivolare... In chiesa, andarono dapprima davanti all'altare maggiore, poi verso quello dell'Immacolata dove recitarono il rosario. Il tutto durò circa un'ora e mezzo. Durante le diverse estasi di quel giorno (ve ne furono parecchie) si notò Conchita piangere frequentemente e chiedere insistentemente per­dono per essere andata alla spiaggia, al cinema, ecc... durante il soggiorno a Santander.

Una giornata straordinaria

Fu senza dubbio quella dell'8 agosto, martedì. Quel giorno, molte auto arrivarono al paese, e tra queste una jeep che veniva da Aguilar de Campo (in provincia di Palencia) e che portava il Padre Luis Maria Andréu. Il celebre predicatore e teologo domenicano Padre Antonio Royo Marin, si trovava an­ch'egli a Garabandal. Nel corso della mattinata, Padre Luis celebrò nella chiesa par­rocchiale una messa piena di un fervore tutto speciale, che fu notata da coloro che vi assistevano. Poco dopo mezzogiorno, comin­ciarono le estasi delle bambine... Padre Luis le seguiva da vicino, osservando con rigorosa attenzione e prendendo nota di ogni det­taglio: movimenti delle veggenti, espressioni, gesti, parole... L'estasi più notevole cominciò dopo le nove di sera. Le quattro ragazze riunite in chiesa per la preghiera caddero in estasi davanti all'altare maggiore. Trascorsa una mezz'ora, si alza­rono e uscirono in cammino estatico, fermandosi a pregare nei luoghi dove già avevano avuto altre estasi. (La gente le seguiva in silenzio o le accompagnava nelle preghiere in preda a una forte emozione). Quando sembrava che tutto dovesse aver termine entro i limiti del paese, si lanciarono all'improvviso verso i Pini in un'ascesa che tutti i testimoni hanno definito impressionante. Giunte in cima, si inginocchiarono, in conversazione con la loro Visione... Poi, man­dando baci nella Sua direzione, cantarono un inno a San Michele. All'improvviso, Padre Luis, anch'egli rapito, trasportato, pro­nunciò con voce lenta e vibrante d'emozione: «Miracolo! Miraco­lo! Miracolo! Miracolo!» Non solamente la folla, ma anche le veggenti in estasi poterono vedere Padre Luis anch'egli in estasi. Fu la sola ed unica volta che una persona diversa da loro entrò nel loro campo di visione. Con­chita annoterà sul suo diario: «Padre Luis gridò: "Miracolo! Miraco­lo!" e restò con lo sguardo rivolto al cielo. Noi lo vedevamo, e du­rante le nostre estasi non vedevamo mai nessuno all'infuori della Ver­gine. Questa ci disse che anche lui La vedeva e che vedeva il Miracolo». Non si trattava di un miracolo, ma del miracolo; di quella mera­viglia senza pari che era stata ripetutamente annunciata dalle veg­genti a coronamento della manifestazione salvifica della misericordia di Dio nei luoghi di Garabandal. Padre Luis Maria Andréu, quella notte privilegiata, poté contemplare in anticipo, e per un esclusi­vo favore della Madonna, ciò che né le veggenti stesse né nessun altro hanno potuto vedere ancora. Alcuni giorni più tardi, le bambine dissero al Padre Ramon Ma­ria Andréu «che avevano visto suo fratello, inginocchiato accanto a loro, con la fronte imperlata di sudore mentre la Vergine lo guardava, lo guardava... Sembrava gli dicesse: “Tra poco sarai con Me”». Tutto questo accadeva verso le dieci di sera. Padre Luis ritornò in sé e faticò nel riprendere contatto col mondo esterno. Le bambine, dal canto loro, restarono in estasi e intra­presero la discesa a un'andatura così veloce che Padre Royo Ma­rin ebbe a dire: «Sembrava che avessero le ali ai piedi». Tutto terminò in chiesa. Naturalmente i commenti si moltipli­carono. Quella che colpì di più fu la frase di Padre Royo Marin: «Io non sono infallibile, ma, in quanto specialista di questi casi, penso che le visioni delle bambine siano vere. Ho potuto annove­rare in favore della loro autenticità quattro segni che, secondo me, non possono trarre in inganno». Padre Luis era d'abitudine poco loquace. Allorché le persone del suo gruppo - giunte da Aguilar de Campo in mattinata - si fu­rono radunate a Cossio per riprendere il cammino del ritorno quella sera stessa, egli disse al parroco Don Valentin: «Don Valentin, ciò che dicono le ragazze è vero, ma non riferisca quello che le sto confidando. La Chiesa deve agire con prudenza in questo genere di cose». Padre Luis aveva preso posto nell' auto del signor Fontaneda (D. Rafael, figlio). Ecco la testimonianza di quest'ultimo: «Mia mo­glie ed io, così come il signor José Salceda (il conducente accanto al quale era salito padre Luis), restammo impressionati dalla gioia profonda e intensa del padre e dalla sua convinzione. Parlava sen­za fretta e continuava a ripetere: "Come sono felice! Come sono pieno di gioia! Che regalo mi ha fatto la Santa Vergine! Ora non posso avere il minimo dubbio sulla verità di ciò che succede alle piccole... Che fortuna avere una tale Madre in cielo! Non dobbia­mo temere la vita dell'aldilà, ma imparare a comportarci come fanno le bambine con la Madonna... Perché la Vergine ha scelto noi? Oggi e' il giorno più felice della mia vita..."» Tanta felicità l'avrebbe ucciso. In quella stessa notte, dopo le quattro del mattino, mentre la piccola carovana entrava a Reinosa, egli dormiva tranquillamente nell'auto che lo trasportava e non si sa­rebbe più svegliato. La spiegazione di quella morte improvvisa non si trova forse nell'episodio dell'Esodo (cap. 33,18-20): i nostri occhi non possono ancora contemplare certe meraviglie dell'aldilà? Così, Padre Luis Maria Andréu, morto a trentasei anni dopo ciò che gli fu concesso di contemplare a Garabandal, diventa il primo martire di questa causa, il suo primo testimone irrecusabile.

Notti indimenticabili

L'agosto del 1961 fu caratterizzato da «veglie» che possiamo definire insolite e confortanti. Furono in generale molto movimentate: le piccole in estasi si spostavano da un punto all'altro del paesello e dei dintorni, sem­pre accompagnate da un gruppo di persone che prendeva parte ai loro canti e alle loro preghiere. Tra le più importanti, quella che inaugurò la festa dell'Assunzione della Vergine, il 15 agosto di quel­l'anno di grazia 1961. «Alle 2 e 45 del mattino», narra il testimone oculare Padre Ra­mon Maria Andréu, «Conchita, Loli e Jacinta intrapresero una nuo­va marcia estatica che durò fino alle 5. Mari-Cruz, non essendo stata chiamata, era andata a dormire. La marcia estatica cominciò verso le 3 dalla casa di Conchita. Le tre bambine manifestavano una grande gioia, e chiesero alla Ver­gine che l'estasi durasse fino alle 7 del mattino. In realtà, durò quasi due ore e mezza. Camminarono tutto il tempo, tranne i po­chi momenti in cui si fermarono davanti alla porta di Mari-Cruz, per cantarle qualche strofa, e in chiesa, per pregare. L'andatura non era molto veloce ma costante: camminavano quasi sempre in avanti, raramente all'indietro. Tutta l'estasi fu pervasa da tripudio. Recitavano il rosario con esultanza (cantavano molte delle loro Ave Maria), sorridevano e a volte ridevano apertamente o parlavano con l'Apparizione... Era molto difficile coglierne le parole, poiché camminavano, ma ad un certo punto le sentimmo dire: "Che gioia! Ma dicci dov'è la casa di Mari-Cruz, poiché noi non la vediamo!" Cominciò allora un va e vieni alla ricerca della casa di Mari-Cruz, al canto di strofe o can­tici... E ogni volta che avevano cantato una strofa nuova, diceva­no ridendo: "Come l'abbiamo imparata in fretta!" Si diressero infine verso la chiesa e domandarono ancora alla Vergine di continuare così fino alle sette, le otto o anche le nove. Tuttavia, tutto terminò alle cinque del mattino. Mi spiegarono in seguito: "Ci sembrava di volteggiare nell'a­ria, come se fossimo capovolte. Credevamo di essere in un altro mondo, in pieno giorno, con il sole". (Dovettero stupirsi di ritro­varsi all'alba quando tornarono in sé). Quando tutto fu terminato, il loro polso era normale, erano ripo­sate, non sudavano. Noi eravamo stanchissimi e madidi di sudore». Questo breve resoconto della singolare veglia dell'Assunzione ci dà un'idea di quelle che furono le altre veglie che santificarono le notti di Garabandal in quell'estate indimenticabile. La veglia che occupò tutta la notte dal 19 al 20 agosto mi sem­bra degna di speciale menzione. Conchita ne parla nel suo diario: «Come la Vergine ci aveva promesso, venne l'indomani e ci disse, come il giorno precedente: recitate il rosario. E abbiamo cominciato. Poi siamo andate nei luoghi dove la Santa Vergine ci era apparsa altre volte. La gente ci disse dopo l'estasi che eravamo salite verso i Pini, che eravamo andate da un albero all'altro, in ginocchio, pregando... Siccome Mari-Cruz aveva già avuto un'apparizione, era andata a dormire. Chiedemmo alla Madonna di insegnarci qualche strofa per andare a cantarla davanti alla casa di Mari-Cruz. Noi trovavamo una parola e la Vergine ci aiutava a trovarne un'altra. Quella notte, la Vergine restò con noi dalle 9 di sera alle 7 del mattino». Dopo tali veglie, le ragazze avrebbero dovuto sentirsi sfiancate, distrutte. Al contrario. Distrutto e sfiancato era solo chi le aveva accompagnate; loro no; e su questo le testimonianze sono unanimi. Nel corso di quella notte, si verificò un nuovo fenomeno, fonte di grande stupore e di molti interrogativi. «Quella notte - scrive Conchita - abbiamo giocato a nascondino con la Vergine. Due di noi si nascondevano, le altre due la cercava­no». (Su questo episodio rimando alla mia opera più volte citata). Non c'è comunque ombra di dubbio: le notti di quell'estate a Garabandal furono davvero accattivanti, assolutamente insolite. Si riusciva appena a dormire; molti, specialmente i forestieri, su cui non pesava la responsabilità delle occupazioni quotidiane, ap­profittavano di qualche momento della giornata, soprattutto del­l'ora della siesta, per recuperare un po’ … La lunga veglia passava senza che ce ne se rendesse conto: o in animate riunioni in attesa delle apparizioni, o, quando queste si producevano, prendendo parte ai canti e alle preghiere delle bambine, o ancora, successivamente, commentando a piccoli gruppi i dettagli più salienti delle estasi e delle marce. Coloro che ebbero il privilegio di vivere quelle ore le ricorde­ranno tra le più gustose e indimenticabili della loro vita.

Comunicazione con l'aldilà

Non so se si sia mai verificata una corrente di comunicazione tra il Cielo e la terra così continua, così attraente, così stimolante come quella che si produsse a Garabandal in quei mesi di agosto e settembre 1961... Dalla terra: preghiere, richieste, confidenze, messaggi, attese gioiose o angosciate; dal Cielo: risposte, segni, av­vertimenti, insegnamenti... Quella intercomunicazione fu davvero esaltante in alcune oc­casioni. Il 16 agosto, per esempio, le piccole in estasi ebbero un collo­quio con il Padre Luis Maria Andréu deceduto una settimana prima. Conchita testimonia nel suo diario: «La Vergine ci apparve molto sorridente e ci disse: "Ora Padre Luis verrà a parlarvi". Poco dopo venne e ci chiamò una per una. Noi non lo vedevamo, sentivamo soltanto la sua voce, esattamente la stessa di quand'era sulla terra. Dopo averci parlato per un po', dandoci dei consigli... ci disse qual­cosa per suo fratello, Padre Ramon. Ci insegnò delle parole francesi, a pregare in greco (l'Ave Maria)... e anche parole tedesche e inglesi...» Da Padre Ramon abbiamo un resoconto più dettagliato. Non è inutile riferirsi alla sua relazione poiché egli era presente e molto vicino alle bambine durante la lunga estasi. Successe in chiesa: il Padre prese in fretta un quaderno per an­notare ciò che riusciva a carpire del misterioso dialogo: «- Uh, che voce! Non conosco questa voce (le bambine erano abi­tuate solo alle voci della Vergine e dell'Angelo)... Dicci chi sei. Ah! Sei Andréu... Si' è la tua voce: ma ora è più dolce... Vogliamo vederti. Perché non ti vediamo? Dicci cosa hai visto ai Pini quando hai detto: Miracolo! Miracolo! Miracolo! Miracolo!... Ah! E il ramo dell'albero che sta in mezzo? Andrò a guardare e prenderò un po' di corteccia... - Quanto devi essere felice adesso! Noi sappiamo quali sono state le ultime parole che hai pronunciato:... che era il giorno più felice della tua vita. (Ci fu un lungo silenzio durante il quale sembravano ascoltare con grande attenzione)». Il dialogo fu lungo... e al Padre Royo Marin sembrò una «asso­luta meraviglia». Nel corso della conversazione, le veggenti, sem­pre in estasi, caddero e si rialzarono tre volte. Tutto finì con una preghiera davanti al Santissimo. L'indomani ci fu un episodio anch'esso molto singolare e im­pressionante. Conchita ne prese nota sul suo diario: «Alla stessa ora del giorno prima (vale a dire al calar della notte), la Vergine ap­parve a noi quattro e ci sorrise per qualche istante ma senza dirci niente. Dopo pochi minuti ci trovammo nel buio più  assoluto. Una voce ci chiamava. Mari-Cruz le chiese: "Dicci chi sei... altrimenti ce ne tor­niamo a casa". La voce si fece udire ancora; e finché la udivamo era­vamo in pieno buio e non vedevamo la Vergine; non appena la voce cessò, la Vergine tornò e tutto ridivenne luminoso. Ella ci disse: "Non abbiate paura", e ci parlò per qualche istante. Fu quella la sera in cui ci baciò per la prima volta, l'una dopo l'altra, poi partì». Quella voce strana non si fece udire solo quel giorno. Fu in quel periodo che salì per la prima volta a Garabandal una donna che doveva diventare una delle principali testimoni degli eventi: la signora Maria Herrero de Gallardo. In compagnia di una delle sue sorelle, giunse il 17 agosto alle due del pomeriggio. Poco dopo, poté contemplare due delle bambine in estasi, Ja­cinta e Loli. «Le due bambine, inondate di felicità, strette l'una all'altra, co­minciarono a fare il giro del paese... Fu allora che sentii per la pri­ma volta il riso di Loli in estasi, quello che mi ha sempre emozionata tanto: era un ridere di gloria pieno di felicità ma per nulla chiasso­so, tranquillo, mistico. Era un ridere estraneo al nostro mondo, staccato dalle gioie terrestri, come penetrato da una vibrazione celeste. Le due ragazze ascoltavano attentamente e rispondevano alla loro Visione con una voce misteriosa, appena udibile. Noi le seguiva­mo correndo, quando la loro espressione cambiò totalmente: si mi­sero a urlare con voci rauche, come in preda a uno sconvolgimento interiore e a un'intensa paura. "Chi sei?... Diccelo. Chi sei?" Re­starono così per alcuni minuti che ci sembrarono interminabili. Fu allora che Maria, la madre di Jacinta, mi disse in via confi­denziale: "Hanno sentito ieri per la prima volta questa voce stra­na. Ne hanno avuto molta paura, benché la Vergine le avesse avvertite in anticipo... E come una voce che viene da lontano, co­me se scendesse dalle montagne, come un fischio, un muggito che urla: Va'... Va'... Va"' » (dall'informativa che la signora Herrero redasse poi per il Sant'Uffizio di Roma). Non siamo ancora in grado di chiarire il mistero di questa voce. Durante il mese di agosto proseguirono quasi ogni giorno le estasi delle bambine e le marce estatiche. La loro andatura era ritmata, animata da una forza straordinaria. Don Valentin, il parroco, ne prese nota durante la notte del giorno 5: «Alle 9 e 30 di sera aspettavo le veggenti sotto il portale della chiesa. Non appena arrivarono, volli fermarle, ma non ne fui ca­pace. La forza che dispiegavano nel loro cammino era considere­vole: se si voleva trattenerle non ci si riusciva, oppure risultava estremamente difficile». Le frasi seguenti sono della signora Herrero de Gallardo: «Ebbi quel giorno la fortuna di poter contemplare a lungo l'impressio­nante ingresso delle quattro bambine all'interno della chiesa. En­trarono lentamente, con passo regolare, a scatti e graduale, come per una parata militare, ciò che lo rendeva stranamente sonoro nel silenzio e nella penombra del luogo santo. Dava un'impressione di forza irresistibile, al punto che Loli (che sembrava allora la più fragile), urtando appena, passando, il braccio di una nostra amica di buona costituzione fisica, la fece cadere a terra. Credo che tutti i presenti restarono colpiti da un salutare timore. Da parte mia confesso di avere allora sentito appieno quello che dovrebbe esse­re il santo timore di Dio... Mi ricordai allora del brano delle Scrit­ture che la Chiesa attribuisce alla Santa Vergine: "Sei bella e affascinante, Figlia di Gerusalemme, ma terribile come un eserci­to schierato in battaglia"». Conchita scrive nel suo diario che la Madonna manifestò con forza, in quei giorni, il suo desiderio di portare le bambine a pre­gare come si deve, con attenzione e devozione. Disse loro venerdì 18 agosto: «Io vi precederò nella preghiera, voi mi seguirete». E, as­sicura la giovane, «pregò molto lentamente», mentre le bambine la seguivano sforzandosi di imitarne il modo, il tono e la pronuncia. L'esercizio verteva sulla recita del rosario. «Tutto era pronunciato molto adagio». Alla fine, la Vergine chie­se loro di cantare la Salve Regina. Credo che dobbiamo porre molta attenzione a queste frasi: «Pre­gò molto lentamente» e «Tutto era pronunciato molto adagio». Ab­biamo bisogno di imparare questa lezione.

Comportamento dei membri della Commissione

Il 12 agosto del 1961, un certo numero di membri di quella Com­missione che si diceva nominata dal Vescovo (o piuttosto dall'Am­ministratore apostolico), Don Doroteo Fernandez, arrivò a Gara­bandal con l'incarico di studiare gli strani fenomeni che avvenivano nel paese. La componevano due o tre sacerdoti e un medico, accompagnati da un fotografo. Mi sembra che il loro comportamento nel corso di quella serata non possa assolutamente presentarsi come emblematico per que­sto tipo di commissione, sia per quel che riguarda l'osservazione dei fatti, sia quanto a imparzialità, sia quanto a misura di gesti e atteggiamenti. Le testimonianze a questo riguardo sono contun­denti; specialmente quella del titolare di una parrocchia asturia­na, Don José Ramon Garcia de la Riva, che seguiva in quel giorno gli avvenimenti con grande attenzione. Durante la marcia estatica delle bambine lungo le viuzze del pae­se, i componenti della Commissione, riuniti nella piccola sacrestia, parlavano e discutevano a voce quasi alta. Don José Ramon Gar­cia, rimasto in preghiera presso l'altare maggiore per chiedere a Dio di concedere la Sua luce al Vescovo e a tutti coloro che aveva­no l'incarico di quello studio (non sapeva di averli così vicini) poté quindi, suo malgrado, udire quello che dicevano. «Sentii distintamente queste parole: chiuderemo la chiesa al culto; manderemo in vacanza Don Valentin (il sacerdote incaricato di Ga­rabandal) per un mese; daremo ordine al padre gesuita (Ramon Ma­ria Andréu) di andarsene; impediremo ai sacerdoti di salire fin qui; e se tutto ciò che sta accadendo qui è da Dio, farà la sua strada». Frase brillante, quest'ultima, in bocca a dei teologi! Come se fosse nei modi d'agire di Dio imporsi ad ogni costo alle sue creatu­re dotate di libero arbitrio! Dio può aprirsi la strada nonostante tutti gli ostacoli frapposti dagli uomini, ma può anche talvolta ab­bandonare certi progetti di misericordia per la durezza di cuore di questi stessi uomini. In ogni caso, guai a coloro che, chiamati a collaborare a questi progetti divini con la migliore disposizione di mente e spirito, si oppongono di fatto ai Suoi disegni, troppo legati come sono a vedute, istituzioni e criteri puramente umani. A partire dalla sera del 23 agosto 1961, l'umile chiesa di San Sebastian de Garabandal cessò di essere teatro delle estasi delle bambine. Giunse infatti una Nota del Vescovo che prescriveva che la chiesa dovesse restare chiusa alle bambine quando fossero in stato di estasi. Fu Don José Ramon, rimasto al paese come supplente occasionale di Don Valentin, a doversi piegare a questa ingiunzione. Le bambine si mostrarono stupite, ma accettarono docilmente: «Posso testimoniare - affermò il sacerdote asturiano - che a parti­re da quel giorno le bambine non tornarono più in chiesa quand'e­rano in estasi: si limitavano a farne il giro esterno con chi le accompagnava, recitando il rosario o cantando la Salve Regina. Le comunioni estatiche dalle mani dell'Angelo non avvennero più al­l'interno del luogo sacro, ma talvolta sotto il portico». Alcuni giorni dopo, il 26 agosto 1961, fu resa pubblica la prima «Nota episcopale» firmata dall'Amministratore apostolico Don Do­roteo Fernandez, il quale, basandosi sul rapporto della Commis­sione, avanzava questa affermazione: «Nulla finora ci obbliga a riconoscere il carattere soprannaturale dei fatti avvenuti in questa località»; e condizionava «il giudizio definitivo, ai fatti che si sa­rebbero prodotti in futuro». Non sarebbe stato più opportuno evitare giudizi provvisori e at­tendere che una questione così complessa, ed evidentemente an­cora in pieno sviluppo, giungesse ad un «esito» che avrebbe per­messo un chiarimento globale? Prendere così rapidamente posizione, pro o contro, anche in mo­do sospensivo, predisponeva l'Autorità a restare sulla propria po­sizione per non doversi smentire in seguito. La nota episcopale si faceva inoltre carico della volontà della Com­missione di mantenere nel loro isolamento i fatti di Garabandal. quindi né sacerdoti, né religiosi, né semplici fedeli erano autoriz­zati a recarsi al villaggio. Tuttavia, non diminuì l'afflusso dei visitatori, fra cui continua­vano ad esserci sacerdoti, molti dei quali provenienti da altre diocesi. Per rivivere l'atmosfera che regnava nelle ultime settimane di quell'estate del '61, ecco alcuni episodi significativi. 29 agosto: Conchita cadde in estasi alle 11 e la si sentì chiede­re: «Tutti i sacerdoti sono buoni?» Alcuni istanti dopo fece un ge­sto di stupore. Don Valentin le chiese poi cosa significasse quel gesto: la bambina rispose che non poteva dirlo. Ma alla fine do­vette cedere e dichiarare che la Vergine le aveva detto che, sfortu­natamente, «non tutti i sacerdoti erano buoni». Per comprendere la reazione incredula della veggente, dobbia­mo pensare alla grande considerazione in cui, a Garabandal, pic­coli e grandi tenevano i sacerdoti e a maggior ragione i vescovi... L'indomani Conchita uscì in estasi da casa sua alle 12 e 10, fece un giro per le vie del paese e, giunta accanto alla porta della chie­sa, esclamò (come udì lo stesso Don Valentin): «Ah! Credevo che tutti i gesuiti fossero buoni!» Il suo giudizio si era basato, ovvia­mente, sui due religiosi che avevano avuto a che fare con lei: i fra­telli Andréu. Possiamo supporre che la Madonna, rispondendo alle bambine abbastanza accorata, volesse avvertirle per tempo delle sgradevoli esperienze che avrebbero presto vissuto. Voleva prepararle (solo esse?) a quella difficile situazione, la crisi del sacerdozio, che non avrebbe tardato a scoppiare, con gravi conseguenze per tutto il po­polo cristiano. In quei giorni era raro che le quattro bambine andassero in estasi simultaneamente, ma esisteva sempre uno strano legame tra loro, tra quelle in estasi e quelle rimaste fuori. Così, nel corso di molte visioni di Loli e Jacinta, Don Valentin si avvalse di Conchita - che era presente in stato normale - per porre loro delle domande. Ma, notò il parroco, «se Conchita le interpellava a voce, le piccole in estasi non sentivano: era necessario porre le domande mentalmente, allora rispondevano. Questo avvenne più di una volta». Ma la Vergine non veniva solo per le veggenti. Veniva anche per molti altri: per tutte le anime di buona volontà. Ella diede nu­merose, misteriose e misericordiose risposte a tante domande an­gosciose ed intime. Quante testimonianze di innumerevoli grazie ricevute potreb­bero essere raccolte! Furono quelli i veri e più grandi miracoli di Garabandal. Quotidianamente veniva irradiata pace, consolazione, coraggio, fiducia nei cuori di molte persone; e proprio tramite quelle estasi frequenti, inesplicabili per alcuni, da altri considerate assurde, da altri infine disdegnate come un «gioco» infantile che non poteva provenire dal Cielo, coloro che «cercavano Dio con semplicità di cuore» (Sap 1, 1), coloro che avevano fede e desideravano da Lui qualche cenno, ricevettero meraviglioso conforto. Si potrebbe compilare un'antologia di casi, benché molti di es­si, forse la maggior parte, resteranno sconosciuti. Ricordo qui uno di essi, di cui parlò spesso Padre Ramon Maria Andréu che ne fu testimone. Era l'inizio del settembre 1961. Un povero sacerdote, tormentato da molto tempo circa la realtà e la validità della sua ordinazione sacerdotale, giunse a Garabandal ve­stito in tenuta tutt'altro che sacerdotale. Si mescolò agli astanti, chiedendo alla Santa Vergine, con le lacrime agli occhi, di conce­dergli attraverso le ragazze una risposta inequivocabile alle ango­scianti perplessità che nutriva nei confronti della propria vocazione. La risposta venne talmente chiara, che il penoso fardello dei suoi scrupoli sparì totalmente e all'istante... Il povero prete corse in chiesa, si rifugiò in sacrestia, tirò fuori da una borsa la tonaca e la indossò più emozionato che mai. Cadde poi in ginocchio da­vanti al tabernacolo riuscendo a malapena a balbettare davanti al Signore e alla Vergine tutta l'emozione e la riconoscenza che provava.

Il caso di una giovane ebrea

 Alla fine di quell'estate del 1961 accadde un fatto che, più di ogni altro, mette in evidenza l'azione «di salvezza» realizzata dal­la Madonna a Garabandal. Domenica 27 agosto arrivarono per la prima volta a Garaban­dal una signorina di Burgos, Asuncion de Luis, e una più giovane studentessa francese, Muriel Catherine C., che Asuncion ospita­va provvisoriamente a casa sua. La giovane di Burgos era una cat­tolica fervente e una grande devota della Vergine: a ragazza fran­cese non professava alcuna religione, poiché né suo padre ebreo, né sua madre protestante si erano presi cura di insegnarle ciò che essi stessi non vivevano né praticavano. L'indomani, lunedì 28 agosto, le due ragazze furono ammesse in casa di Jacinta, che si trovava in cucina con i suoi genitori insie­me a Mari-Loli e i suoi; era presente anche Don Valentin, tutti in attesa dell'Apparizione, poiché le ragazze erano già state chia­mate. Asuncion de Luis spiegò brevemente alle ragazze la situa­zione della sua compagna, chiedendo loro di intercedere per lei pres­so la Vergine. E consegnò loro il suo rosario d'argento perché lo facessero baciare dalla Madonna. Poco dopo ci fu l'estasi. Le persone presenti sentirono ciò che le due bambine dicevano alla loro Visione, con il tono caratteristi­co delle estasi, simile a leggero mormorio: era venuto «un Padre a dir loro che ciò che vedevano era opera del demonio, e che per que­sto dovevano usare l'acqua benedetta, perché scomparisse». Alla risposta della Vergine, il loro viso, finora contratto, s'illu­minò di un sorriso meraviglioso. Cominciarono allora a parlare di Catherine: «Guarda, non è cattolica... Non è neanche battezzata: su, aiutala, aiutala!... Ah! E a causa di suo padre... » Venne poi la presentazione degli oggetti religiosi per il bacio del­l'Apparizione. Quando fu il turno del rosario d'argento di Asun­cion, si udì: «Ah! Lei (Catherine) ha imparato a pregare con questo rosario. E’ con questo che ha recitato le sue prime Ave Maria?» E, una dopo l'altra, le due bambine presentarono il rosario da bacia­re alla Vergine, mentre ripetevano, come sotto la spinta di una vi­va impressione: «Quello delle sue prime Ave Maria... delle sue pri­me Ave Maria!» Quando tutti gli oggetti furono baciati dalla Vergine, le ragazzine chiesero: «Adesso? - Bene». Loli prese il flaconcino di acqua benedet­ta, preparata per scongiurare l'eventuale presenza diabolica, tolse il tappo e ne gettò con forza il contenuto in aria... «Allora - testimonia Asuncion de Luis - potemmo constatare tutti che l'acqua non cadde dove avrebbe dovuto ma, eseguendo una misteriosa traiettoria, ri­cadde tutta e soltanto su Catherine, al punto che ella esclamò: "Mi ha inzuppata!" (pur essendo la quantità d'acqua molto esigua)». Lì per lì, nessuno poté cogliere il motivo di questo mistero, ma un giorno si sarebbe chiarito. La giovane ebrea francese, Muriel Catherine, nonostante fosse intimamente propensa alla fede cat­tolica, non poteva ancora farne apertamente la professione. Era ancora minorenne e per alcuni mesi dovette combattere con l'incomprensione e l'opposizione dei suoi genitori, disposti a conce­derle tutto, tranne che entrare nella odiata Chiesa di Roma: sa­rebbe stato un affronto per la famiglia. Ma nel 1963 poté tornare in Spagna e inspiegabilmente ottene­re il permesso di soggiorno temporaneamente a Burgos, dove aveva trovato un lavoro... Il 20 ottobre ricevette solennemente il battesimo nella grandiosa cattedrale. Le veggenti non avevano pre­gato invano per lei presso la Vergine. Più volte durante la visione avevano ripetuto: «Ah! Allora a 21 anni, quando sarà maggiorenne». Così, raggiunta la maggiore età, Muriel Catherine entrò a pieno ti­tolo nella famiglia dei figli di Dio, scegliendo il nome franco-spa­gnolo così cristiano di Maria del Carmelo Catherine. Non potreb­be questa storia intitolarsi «Dall'acqua di Garabandal all'acqua del Battesimo»? Inoltre, non ci sarà un particolare significato profetico nascosto in questo duplice evento? La Madonna si presenta a Garabandal come Beata Vergine del Monte Carmelo, nome legato a Israele, e la prima persona non cattolica che attira alla fede è proprio una figlia del popolo di Israele.

Notti di grazia

Sono mai state vissute notti così ricche di avvenimenti come quel­le di Garabandal in quel periodo? Tutto il tempo veniva trascorso o a seguire le piccole in estasi pregando con loro, o in riunioni do­mestiche a commentare gli eventi. Possiamo avere un'idea di queste notti grazie a questo breve rac­conto di una testimone, Maria Herrero de Gallardo. «Il 12 settembre 1961, verso le 8 di sera, al calar dell'oscurità, le bambine in estasi attraversarono il paese e presero il sentiero che scende a Cossio. Credo che fu quella l'unica volta che le vidi incamminarsi verso quella direzione. Era la festa del Santissimo Nome di Maria, di conseguenza la mia, ma innanzi tutto quella di Colei che, come nessuno, ha reso glorioso quel nome. Avevo chiesto a Conchita di porgere gli augu­ri alla Vergine da parte mia... All'improvviso le quattro bambine si misero a camminare velocissime: era impossibile seguirle... For­tunatamente, poco dopo si fermarono, poi continuarono accom­pagnate dagli astanti, pregando ad alta voce. Giunte al piccolo ponte di legno che sovrasta il burrone in fondo al quale scorreva a casca­ta il torrente, si fermarono di nuovo e, voltate verso i Pini, prose­guirono le loro preghiere. Sotto il cielo terso, costellato di stelle, nella notte chiara e tra­sparente, le Ave Maria si sgranavano lentamente, struggenti di in­finita dolcezza. I quindici misteri del rosario si succedettero così senza fretta; le bambine era abituate a pregare con grande calma quando erano in estasi... Tutto invitava alla meditazione. Capì allora più chiaramente perché Conchita chiamasse il "Cua­dro" il suo "piccolo spicchio di Cielo". Trovai anch'io, in quella notte, il mio piccolo angolo di Cielo nel corso di quella preghiera, nel silenzio e nel raccoglimento». Le conversazioni si alternavano alle preghiere. Ascoltiamo di nuovo la stessa testimone: «Una sera dopo l'apparizione, mi ritrovai sola con Conchita nella sua cucina. Approfittai dell'occasione per dirle: "Conchita, parlami della Vergine" (nessuna delle bambine parlava spontaneamen­te delle visioni: sapevano mantenere il segreto). "Cosa vuoi che ti dica? Oggi la Vergine è venuta senza il Bambino Gesù. Ed era senza la corona; aveva i capelli lunghi, castani, con la riga in mezzo. Non l'abbiamo mai vista con un velo sul capo; i capel­li si muovono leggermente come al soffio di una brezza. Particolare interessante: quando recita il Gloria inchina il capo con una straordi­naria reverenza. Un'altra cosa: la Madonna, guardandoci, dà l'impres­sione che, più che a noi, guardi al mondo; e in che modo! Nessuno di noi potrebbe guardare così "- L'hai vista qualche volta vestita con l'abito del Carmelo?" - Solo un giorno, quello della festa della Beata Vergine del Mon­te Carmelo, il 16 luglio. Viene sempre vestita di bianco, con un manto azzurro - E che puoi dirmi di San Michele?" - Cominciò tutto con lui. Venne per la prima volta il 18 giu­gno preceduto da un lampo e da un tuono fragoroso che ci impres­sionò molto"».

La presenza dell'Arcangelo

È importante meditare sull'intervento dell'Arcangelo San Michele, che segna l'inizio degli eventi di Garabandal, e sulla sua co­stante presenza in seguito. Per le bambine, durante un certo tempo, fu semplicemente l'«An­gelo», l'Angelo che appariva loro e che talvolta dava loro la comu­nione quando era impossibile riceverla dalle mani di un sacerdote. Così era per Conchita quando diede la risposta citata. Ma la si­gnora Herrero le fece notare con enfasi: «Non mi stupisce che vi facesse impressione... Sai chi è San Michele? E il Principe della Milizia Celeste, il vessillifero di Dio, il trionfatore di Satana e dei suoi angeli ribelli!» «Ma io non sapevo tutto questo», rispose Conchita. Tutti sappiamo che il Santo Arcangelo è nelle Scritture lo stru­mento di Dio per le missioni più alte, il suo braccio destro nelle azioni decisive. A Garabandal sembrava che, a parte il fulmine e il tuono del primo giorno, non avesse certo per missione di impressionare... Ma una missione di pacificante misericordia può essere preannun­zio, se non raggiunge il suo scopo, di una forte azione di giustizia. Forse siamo già entrati in quel periodo descritto nell'ultimo li­bro delle Scritture: «Io vidi allora un Angelo che saliva da Orien­te, portando il sigillo del Dio vivente. Gridò a gran voce: "Non fate nulla contro la terra e il mare... finché non avremo finito di segnare sulla fronte con il segno di Dio tutti i suoi servi» (Ap 7,1-3) Questo segno divino di distinzione costituisce l'ultima opera di misericordia, prima che suoni l'ora della giustizia. Così l'Angelo che viene sotto spoglie pacifiche può, in seguito, incaricarsi di un'al­tra missione alla testa degli angeli giustizieri. Sulle rive del Tigri, fu detto un giorno al profeta Daniele: «In quel tempo si leverà Michele, il grande principe che vigila sui figli del tuo popolo. Vi sarà un tempo di angoscia, come non c'era mai stato dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo. Allora il tuo po­polo potrà essere salvato, saranno salvati tutti coloro che si trova­no inscritti nel libro» (cioè «tutti coloro che saranno segnati») (Dan 12, 1). Garabandal: momento senza dubbio importante nel processo della Salvezza. Nella nostra epoca così difficile, la Vergine Madre e il grande Arcangelo che La annunciò e La accompagnò vengono a noi per il nostro bene, per portarci un aiuto straordinario adatto ai nostri tempi. Garabandal ci ha già rivelato molte cose; molte altre restano da dire, dal momento che molte difficoltà sono sorte dall'una e dal­l'altra parte. Una parte importante del suo mistero resta ancora sconosciuta. I versi seguenti, composti qualche anno fa, esprimono bene il sentimento carico di speranza, di preoccupazione, di fervore che avvolge Garabandal: Camminiamo... Con gli occhi rivolti verso quei Pini solitari Che sono per noi la speranza... Il piede fermo, lo sguardo in lontananza Là soltanto dove si può raggiungere Dio Attraverso il cammino penitenziale del rosario. Orizzonti lontani! Trono di Maria! Pergamo di profezia! Velo omerale che ricopre le spalle del mistero Dove risplenderà un giorno la luce di Dio Inizio di un giorno nuovo...

 

Capitolo quarto

18 OTTOBRE 1961: UNA DATA CHIAVE

La grande attesa

Le «meraviglie» di Garabandal, che erano quotidiane e si mol­tiplicavano con ritmo crescente, tenevano con il fiato sospeso un gran numero di persone. E poi, certi dettagli... Il 6 settembre, per esempio, il parroco Don Valentin fece molte domande a Loli, in estasi, per mezzo di Conchita allora in stato normale. Conchita chiese mentalmente alla sua compagna: «Don Valentin continua a dire: "Non so, non so cosa bisogna pensare"... e si chiede quale sia la volontà della Vergine in tutto questo». La risposta di Loli fu precisa e laconica: «Lo si vedrà il 18 otto­bre». Questa data era custodita nella memoria delle veggenti sin dal­l'inizio, poiché già il sabato 24 giugno, festa di San Giovanni Bat­tista, l'Angelo l'aveva indicata loro sulla scritta posta ai suoi pie­di: essa terminava con le cifre romane: XVIII-X-MCMLXI. Sul momento, le ragazze non avevano capito. Qualche giorno dopo, la Vergine Santissima stessa, alla sua ter­za apparizione, quella del martedì 4 luglio, aveva chiesto alle bam­bine: «Sapete cosa voleva dire la scritta ai piedi dell'Angelo?» E le quattro bambine avevano risposto all'unisono: "No, non lo sap­piamo". Portava un messaggio, che vi dirò perché voi, il 18 otto­bre, lo diciate a tutti». «E ce lo disse», scrive Conchita nel suo diario. Quel giorno, El­la diede loro il testo in forma succinta perché lo imprimessero be­ne nella memoria. Ma tuttavia dovette in seguito dedicare molte apparizioni a spiegarne il contenuto e lo scopo, perché quelle pic­cole montanare facevano fatica a comprenderlo nonostante la sua apparente semplicità. Con grande sensibilità pedagogica, questa ineguagliabile Madre e Maestra impartiva la spiegazione a piccole dosi, intercalate nei dialoghi a sorrisi e tenerezze, senza mai manifestare noia né fatica davanti alla loro libertà di linguaggio e al loro chiacchierìo (che molti trovavano senza interesse). Durante tutta quell'indimenticabile estate del '61, quanti visi­tatori poterono constatare i curiosi mutamenti negli sguardi delle bambine, nel corso di una stessa estasi! Da visi trasfigurati e ange­lici a volti oscurati e seri, da sorrisi gioiosi a occhi pieni di lacri­me... Dipendeva dalla Visitatrice Celeste che non era là solo per dire o ascoltare cose gradevoli. La data di cui si parlava tanto fin dai primi giorni era ormai molto vicina. Cosa sarebbe successo quel 18 ottobre 1961, giorno fissa­to per la rivelazione di un segreto, per la pubblicazione di un mes­saggio? Le bambine mantenevano il riserbo sull'essenza di ciò che ve­devano e sentivano durante le loro estasi, ma talvolta, nelle loro confidenze, si lasciavano scappare qualche parola che riusciva a sca­tenare l'immaginazione e l'impazienza della gente. Per esempio, vennero captate le parole di Conchita durante un'estasi del 3 set­tembre: «Come sarà bello il Miracolo! Come mi piacerebbe che lo facessi subito! Perché non lo fai adesso? Su, fallo, almeno solo per coloro che credono... A quelli che non credono, non fa né caldo né freddo». Con questo genere di esortazioni, come non supporre che il 18 ottobre sarebbe stata la data del grande miracolo atteso, o per lo meno di qualcosa di sorprendente, di impressionante? Eppure, avvertimenti chiari delle bambine avrebbero dovuto met­tere un freno a questa attesa trepidante. A un visitatore che, al momento della partenza, disse a Loli: «Ar­rivederci al 18 ottobre; quel giorno tornerò perché credo ci sarà un miracolo e ci sarà molta gente», ella replicò con molta vivacità: «Per favore, per favore, non si disturbi a venire per vedere un miraco­lo. Non abbiamo annunciato niente di simile. La sola cosa che abbia­mo detto è che renderemo noto al pubblico un messaggio. Lei potrà conoscerlo più tardi a Santander. Cerchi di capirmi bene, la prego, noi non abbiamo annunciato nessun miracolo per quel giorno». Malgrado queste precise puntualizzazioni, la voce si era sparsa: il         18 ottobre sarebbe successo qualcosa di meraviglioso. Non era forse un mese del tutto particolare? Era il mese del ro­sario, pratica di devozione che la Vergine aveva tanto raccoman­dato sin dal primo giorno, e che occupava sempre un posto privi­legiato nelle estasi delle bambine. La festa liturgica della Regina del Santissimo Rosario si cele­brava il 7 di ottobre, e quell'anno cadeva proprio di sabato, il pri­mo sabato del mese. Tante coincidenze mariane sembravano provvidenzialmente riu­nite perché si producesse l'evento decisivo, dopo tanti straordina­ri «fenomeni». Il rosario di quel 7 ottobre fu certamente il più bello dell'anno a Garabandal. Ci fu di tutto: preghiere lente e ben scandite, ar­denti (sappiamo come pregassero le piccole in estasi), meditazione silenziosa dei Misteri, canti che affioravano dal cuore molto più che dalle labbra; tutto concorse a rendere esemplare questa pre­ghiera comune. Quel rosario «di festa» non durò meno di due ore e un quarto! Eppure nessuno ne sentì la fatica, le bambine meno di chiunque altro, sprofondate come erano nella loro beata con­templazione. Mentre quest'omaggio così commovente del suo popolo saliva a Lei, la Madonna doveva forse sentire risuonare nel suo cuore, con forza particolare, le antiche e profetiche parole del Creatore: «Mi ha detto: fissa la tenda in Giacobbe E prendi in eredità Israele, E poni le radici in mezzo ai miei eletti» (Sir 24, 8-12). Non veniva Lei a Garabandal espressamente per compiere que­sto programma? Un nuovo Israele attendeva l'Anticipatrice di Dio per raccogliersi intorno a Lei e consolidare l'Alleanza divina. Quello stesso 7 ottobre arrivarono a Garabandal il dottore e la signora Ortiz. Lui, prestigioso pediatra di Santander; lei, Paquina de la Roza, donna di grande sensibilità e dotata di sottile chiaro­veggenza. Venivano decisi a trascorrere li le loro vacanze, a di­spetto della mancanza di comodità, per seguire da vicino quei fe­nomeni che già li avevano fortemente coinvolti. Diventeranno così testimoni d'eccezione di molti fatti. La loro preziosa testimonianza è essenziale per cogliere meglio, oggi, gli eventi nel loro insieme Di tutti i medici che vennero successivamente a Garabandal, il dottor Ortiz fu quello che «studiò» le bambine con maggior at­tenzione e perseveranza, restando in contatto diretto con loro man mano che si susseguivano le estasi. La sua conclusione fu che erano perfettamente normali, e che quei fenomeni di cui erano pro­tagoniste non potevano avere una spiegazione naturale. Nelle loro annotazioni, i signori Ortiz riportano, di quei giorni, non solo fatti importanti, ma anche dettagli deliziosamente curio­si; come questo: Conchita e Loli - che non avrebbero potuto in nessun modo presentarsi a un concorso di canto... - cantavano in estasi l'Ave Maria, sulla porta della chiesa, in un duetto di mirabi­le precisione; o quest'altro: Conchita, sorpresa da un'estasi men­tre mangiava seduta accanto al camino, restò incredibilmente bloc­cata con un bicchiere di latte in mano, né ci fu modo di toglier­glielo per tutto il tempo dell'apparizione. Altri episodi di quei giorni furono di più elevato livello. La stessa Conchita ne fa cenno nel suo diario: «Durante un'apparizione, mentre scendevamo dai Pini Loli ed io circondate dalla folla, vedemmo co­me un fuoco tra le nubi. Anche la gente lo vide, quelli che erano con noi e quelli che erano rimasti in paese. Quando quel fuoco misterioso cessò, ci apparve la Vergine Madre. Le domandammo cosa fosse. Ella ci disse: "E in quel fuoco che sono venuta"» Un altro segno celeste (Lc 21, li e 15) si manifestò il 12 otto­bre, festa della Madonna del Pilar. Le estasi delle bambine comin­ciarono sul finire del giorno e si protrassero fin dopo la mezzanot­te. Durante un'estasi, Loli e Conchita proruppero insieme in un grido, mentre alzavano le braccia. «Istintivamente - scrive il dottor Ortiz - i nostri sguardi si vol­sero verso il cielo e vedemmo avanzare da nord in direzione sud (vale a dire verso i Pini), una stella di grande luminosità che la­sciava dietro di sé una scia che durò qualche secondo». Secondo le asserzioni di Don Valentin, «la luce non poteva, in nessun mo­do, essere confusa con quella di una stella cadente o una cometa». Questi fatti, probabilmente amplificati dal racconto da persona a persona, fecero sulla gente una grande impressione, così che ve­niva naturale chiedersi: «Quale sarà la conclusione di tutto ciò? Cosa vedremo il prossimo 18 ottobre?». All'avvicinarsi di quella data, arrivarono alcune personalità vi­cine alla gente di Garabandal: Padre Ramon Andréu, per esem­pio, che fece il viaggio in compagnia di un ingegnere tedesco resi­dente da molto tempo in Spagna, Maximo Fòschler Entemann, che non era cattolico, ma protestante di grande fede. Venendo dalla Castiglia attraverso il passo di Piedras Luengas, furono vittime, prima di giungere a Garabandal, di un grave incidente stradale da cui il Padre uscì con una caviglia fratturata. Nel corso della notte, nella casa dove era ospitato, Padre Ra­mon si sentì molto male, con nausea, sudori freddi, una forte in­fiammazione e dolori insopportabili alla caviglia sinistra; anche il solo lieve peso della coperta gli era intollerabile. Le ore della notte gli sembrarono interminabili... Ma, verso le 3 e mezzo del mattino, si udì in strada un rumore strano e, poco dopo, Jacinta in estasi si presentò davanti a lui e gli diede il croci­fisso da baciare, mormorandogli qualche parola... Nello stesso istante in cui baciava il piccolo crocifisso che gli tendeva la veggente, il Padre sentì il dolore scomparire completa­mente. Ma si guardò bene dal parlarne subito alle persone che ac­compagnavano Jacinta. Perché? Per timore che tutto fosse effetto della tremenda emozione del momento; più ancora - come confes­so lui stesso più tardi - per paura di rendersi ridicolo. (Come certi intellettuali, anche se consacrati, si tengono talvolta a distanza dal­l'umiltà e dalla semplicità di cuore che Gesù aveva tanto racco­mandato!). Nelle ore successive della notte riuscì a riposare. All'alba di domenica 15 ottobre, un medico si presentò per con­statare le condizioni del malato: si trovava anch'egli di passaggio a Garabandal e, la sera prima, aveva suggerito di portare in ambu­lanza il ferito all'ospedale di Santander. Trovò il Padre alzato, seduto sul bordo del letto. - Ma cosa sta facendo? - Cerco di alzarmi... - Ma è impazzito? Mi faccia vedere! Il medico mise un ginocchio a terra per esaminare meglio la ca­viglia ferita; alzò lo sguardo sul Padre e gli disse: - Non capisco come possa scherzare così. Coraggio, mi mostri la caviglia malata. Con apparente indifferenza, il Padre gli mostrò l'altra caviglia (quella sana!). Il medico la esaminò con molta attenzione... la con­frontò con l'altra, e, alzando di nuovo lo sguardo verso il sacerdo­te, mormorò con un' espressione difficile da descrivere: - Che cose strane accadono in questo paese! Quella mattina, Padre Andréu celebrò la messa domenicale in parrocchia; e nessuno poté rendersi conto, né dalla sua andatura, né dai suoi movimenti, del grave incidente del giorno prima. Fu solo in seguito che confidò al suo compagno di viaggio Fòschler ciò che era realmente successo: «Quando, ieri in piena notte, Jacinta venne a farmi baciare il crocifisso, mi disse: "Padre, la Santa Vergine mi ha detto che lei stava molto male, ma mi ha anche incaricato di dirle che è guari­to". E in quel preciso istante i miei dolori scomparvero». Il 17 ottobre, Garabandal fu immersa in un'atmosfera di gran­de e luminosa speranza. Arrivò una folla numerosa, ansiosa di ciò che sarebbe potuto accadere l'indomani. La tensione dell'attesa era in alcuni colma di tranquilla certez­za, in altri vibrante di nervosa preoccupazione. Cosa sarebbe suc­cesso? E se non fosse successo niente? Uno dei più inquieti, in continuo e ansioso andirivieni per le vie del paese, era il parroco, il buon Don Valentin Marichalar. Si sentiva coinvolto in prima persona. Neanche i genitori delle veg­genti erano molto tranquilli: non potevano dubitare della sinceri­tà delle loro figlie, ma si trovavano di fronte a eventi così straor­dinari, talmente fuori dalla loro comprensione... In mezzo a tante ansie e tanti dubbi, le bambine erano le più serene. Non avevano alcun dubbio sulla realtà delle loro visioni; avevano completa fiducia nella Vergine.

Il 18 ottobre

La notte fra il 17 e il 18 ottobre piovve senza sosta. Nel buio e nel silenzio, su tutta la distesa del versante cantabrico si poteva udire l'immensa e sorda sinfonia dell'acqua che scrosciava instan­cabilmente: le cateratte del cielo parevano inesauribili. Tuttavia, prima che la luce del giorno riuscisse a perforare lo spessore della bruma, molte auto misero in moto i loro motori. Ecco il racconto che Maria Herrero de Gallardo ha fatto del suo viaggio: «Quel 18 ottobre 1961, quando si levò l'alba, pioveva a dirotto su tutta la provincia di Santander. Partimmo di buon ora da San­tander ma, fin dalle alture di Carmona, fummo costretti ad acco­darci a una fila di macchine che ci precedeva e che si dirigeva co­me noi verso San Sebastian de Garabandal. A Cossio, riuscimmo finalmente a parcheggiare l'auto in un pic­colo slargo. Ma avevamo davanti a noi sei terribili chilometri da fare a piedi. La pioggia incessante aveva trasformato la salita in un pantano scivoloso. Tenendo con una mano l'ombrello, e usando l'altra per attutire le continue scivolate, proseguimmo il nostro cammino. Ricordo quella salita come un vero calvario che durò più di tre ore». In mezzo a tanta pena e nonostante le sofferenze sopportate, dalle labbra e dai cuori dei pellegrini salivano le parole del Salmo: «Verso Te, Dimora Santa, Verso Te, Terra di Salvezza, Pellegrini, viaggiatori, andiamo verso Te! » Il villaggio si popolò di folla. La gente non smetteva di affluire da ogni parte. Qual era l'atmosfera? «La folla - scrive ancora Maria Herrero de Gallardo - invadeva le strade in attesa dell'evento e tutti speravano in qualcosa di ve­ramente straordinario. Eppure, pochi giorni prima, Loli e Jacinta mi avevano avvertita che non bisognava aspettarsi nessun miraco­lo; esse avevano soltanto detto che sarebbe stato reso noto il mes­saggio ricevuto. Nonostante tutto, nessuno accettava di lasciarsi dissuadere. Le ore passavano lentamente... Il cattivo tempo peggiorava; la gente si riparava come poteva: in chiesa, nelle case, sotto i portici. Gli abitanti del paese si com­portarono con i visitatori nella maniera più affabile e ospitale: det­tero prova di molta carità e pazienza. Sebbene avessi trovato rifugio in una casa, non riuscivo a sot­trarmi all'atmosfera animata delle vie e viuzze. Si sentivano grup­pi di persone esprimersi in diverse lingue, anche se lo spagnolo, naturalmente, predominava. Il comportamento di quel pubblico non era uniforme. Molte donne si comportavano con eccessiva agi­tazione e un po' troppa disinvoltura; gli uomini, in generale, mo­stravano maggior rispetto, come anche i giovani, accorsi numero­si. Coloro che erano saliti al paese con fede autentica, si mostra­vano felici, animati, pieni di speranza; si dedicavano alla preghie­ra senza preoccuparsi dell'inclemenza del tempo (molti di loro non avevano probabilmente neanche mangiato). Davanti a ognuna delle case delle veggenti, erano appostate due guardie civili a cavallo, per impedire l'entrata ai numerosi curiosi che cercavano ad ogni costo di conoscere, baciare le bambine e par­lare con loro».

L'ora x

Fin da metà pomeriggio, la gente cominciò a prendere posto nei luoghi in cui si pensava dovesse prodursi il grande evento. Ma a questo proposito vi era una grande divergenza di vedute: alcuni pensavano che sarebbe successo ai Pini, altri alla «Calleja», altri infine (e sembravano i meglio informati), in chiesa. Molti dei membri della Commissione nominata dal Vescovo si trovavano in paese loro malgrado ed erano piuttosto corrucciati. Non tutti erano presenti come avrebbe richiesto il loro compito, forse a causa del maltempo. Quelli che erano presenti si mostrarono estremamente scontro­si non vedevano l'ora che tutto finisse al più presto. La notte si avvicinava: non si poteva prevedere ciò che sarebbe successo con tutta quella folla, in piena oscurità (nonostante le lampade tascabili e le lanterne), su quei pessimi sentieri, con un tempo così inclemente. Ciò che accadde è descritto chiaramente nel diario di Conchita: «La Santa Vergine ci disse, durante l'apparizione del 4 luglio: "Sape­te cosa rappresenta la scritta ai piedi dell'Angelo? Ebbene! Si tratta di un messaggio che vi darò il 18 ottobre e che trasmetterete, a vostra volta, alla gente". Ci spiegò, in seguito, il significato di questo messaggio e come avrem­mo dovuto comunicarlo, il 18 ottobre, sotto il portico della chiesa; Don Valentin avrebbe dovuto ripeterlo la sera, alle 10 e 30, ai Pini». Ma queste istruzioni non furono seguite. I componenti della Commissione ritennero di potersi attribuire il diritto di modifica­re il programma stabilito dal Cielo... e fecero autoritariamente pres­sione su Don Valentin perché ne accelerasse e semplificasse lo svol­gimento. Verso le 8 di sera, Don Valentin, per sottomettersi ai desideri della Commissione, andò a cercare le bambine. Rapidamente, la notizia si sparse ovunque: «Ai Pini, ai Pini... » «Ci avviammo - prosegue nel racconto Maria Herrero - inciam­pando nell'oscurità, affondando in una specie di alluvione di fan­go, di pietre e di rami caduti dal versante dei Pini. Cadevamo, tal­volta rotolavamo, camminavano a quattro gambe, aggrappandoci alle grosse pietre del suolo e ai rovi ai lati del sentiero. Nonostan­te le continue cadute e scivoloni, nessuno, che io sappia, si era fe­rito, o contuso: non è sorprendente? Devo confessare che terminai la salita di cattivo umore non tro­vando in cima un posto di mio gradimento. Alla fine riuscii a piaz­zarmi in un luogo strategico per essere in grado di vedere bene, sebbene non fossi in prima fila: la visibilità era abbastanza buona grazie a molte lanterne e lampade accese. Dopo qualche minuto di attesa apparvero, a una certa distanza, le quattro fragili figure delle bambine, circondate da diverse guar­die civili a cavallo». Improvvisamente il tempo mutò: «La tempesta di pioggia e nevischio che ci bagnava fino alle midolla e che toglieva ogni visibi­lità cessò di colpo; un forte vento sgombrò le nubi scure e pesanti, e apparve la luna. Una luce pallida rischiarò tutto: i Pini, i sacer­doti, le bambine, le guardie civili. Confesso che fu per me uno spet­tacolo impressionante». Molti, in quel momento, credettero con certezza che il miraco­lo tanto atteso stesse per verificarsi... E invece non accadde nulla. O, piuttosto, ci fu soltanto la proclamazione del messaggio, an­nunciata dalle bambine, ma in forma ben diversa da quella pre­scritta dalla Vergine. Le veggenti consegnarono a Don Valentin l'umile foglio su cui figurava il testo del messaggio, firmato da tutte e quattro. Secon­do le istruzioni della Madonna, Don Valentin avrebbe dovuto pro­clamarlo lui stesso ai Pini, ma «lo lesse per sé e ce lo rese perché lo leggessimo noi» (diario di Conchita, pag. 38): Il signor parroco del paese non ebbe il coraggio di proclamare al pubblico quel breve testo perché giudicato da lui troppo puerile. La gente aspettava qualcosa di grandioso, di sensazionale, ma questo... La nostra mancanza di rettitudine ci ha resi complicati, per cui restiamo indifferenti di fronte alle cose semplici. «Distinguevo chiaramente - continua Maria Herrero - la voce infantile di Conchita che leggeva il messaggio». Due uomini rilessero successivamente, a voce alta, il messaggio, perché non si era sentita bene la voce della bambina. Così fu reso noto ciò che era stato stabilito. Dalla notte di Ga­rabandal si proiettava sulla notte del mondo la luce di poche paro­le, chiare e precise, che avrebbero lasciato forse insoddisfatte le anime complicate o orgogliose, ma che avrebbero offerto ai cuori semplici e aperti materia di profonde riflessioni sulla Salvezza:

 

«E’ necessario fare molti sacrifici, molta penitenza, visitare spesso il Santo Sacramento ma prima di tutto bisogna essere molto buoni. E se non lo faremo, vi sarà per noi un "castigo"; già la coppa si sta riempiendo, e, se non cambiamo, il castigo sarà grandissimo».

 

 Queste poche righe sembrarono insufficienti per soddisfare l'ansia miracolistica dei presenti o fare sensazione. Per molti queste pa­role non avevano un grande significato; eppure erano un nuovo e impellente richiamo per la nostra Salvezza.

La delusione

All'immensa curiosità che aveva preceduto quell'indimentica­bile notte si sostituì uno sgradevolissimo senso di delusione. Il racconto di un testimone ci servirà a comprendere i sentimenti di molti presenti. Ci serviamo ancora degli scritti di Maria Herrero de Gallardo: «Dopo aver udito il messaggio che la gente trasmise di bocca in bocca, mi sentii fortemente delusa. Che significato aveva tutto que­sto? Sembrava tutto così puerile. Tuttavia conoscevo abbastanza le bambine per pensare che non stessero improvvisando né men­tendo. Allora? Rimasi perplessa e di cattivo umore». Come molti altri se ne andò precipitosamente da quel luogo. Tanti sforzi penosi, tante ore di attesa e di fatica... per cosa? Tutti pen­savano di aver commesso una ingenua sciocchezza: nessuno pote­va immaginare che gli eventi di Garabandal avrebbero avuto un tale epilogo. Nessuno, forse, sentì tanto bruciante questa sensazione di de­lusione quanto Padre Ramon Maria Andréu. In quel luogo aveva ricevuto più benefici di chiunque altro; si ritrovò - come pochi - duramente messo alla prova. «Un immensa amarezza interiore mi invase all'improvviso, bru­talmente. Mi trovavo perso nella notte, nel vero senso della paro­la, in mezzo a una moltitudine di ombre che salivano e scendeva­no, con l'anima turbata da una tremenda afflizione, sommerso da una sensazione insopportabile di solitudine, comprendendo improv­visamente quanto fosse ridicolo tutto ciò... Una sola cosa restava chiara e indelebile nella mia memoria: la morte del mio povero fra­tello, Padre Luis, poco più di due mesi prima. Credo di non aver mai conosciuto nel corso della mia vita una tale desolazione. Sentii il desiderio violento di andarmene il più presto possibile lontano, in America. E mi dicevo: "Cosa ci fai qui? Queste bambine sono solo delle povere malate. E tutto ciò è solo una commedia di montanari ritardati..." Con lo sguardo interro­gavo il Cielo. Avrei voluto veder prodursi il grande miracolo (che le bambine non avevano mai annunciato per il 18 ottobre), ma non succedeva niente e la mia delusione era totale». Sciolto il raduno ai Pini, il Padre cominciò a camminare come alla deriva, fra le vie del paese. All'improvviso vennero a chiamar­lo da parte di Loli. Questa gli disse che sapeva del dolore che ave­va provato interiormente: la Madonna glielo aveva rivelato men­tre scendevano dai Pini... Da li, Padre Ramon andò a casa di Con­chita che gli confermò interamente tutto ciò che aveva detto la sua compagna: «Sì, la Madonna mi ha rivelato tutto quello che lei ha pensato e i luoghi precisi dove lei ha dubitato. Lei ha sofferto mol­to. Ma ora mi ha incaricato di avvertirla che questa sua esperienza le servirà affinché in futuro se ne ricordi e non dubiti più». «L'indomani - il Padre lo raccontò più di una volta - su una foto particolareggiata dei Pini e dei dintorni, Conchita indicò con il di­to ciascuno del luoghi dove ero stato, e ciò che avevo pensato in ognuno di quei luoghi. Non fece nessun errore. Come conseguenza, vissi quindici giorni quasi come un sonnam­bulo, sotto l'influsso di una terribile sensazione: mentre credevo di essere completamente isolato, ero stato controllato nell'intimo dei miei pensieri; e questi pensieri erano stati svelati in dettaglio a quelle bambine, dalla misteriosa Persona che dicevano di vedere». Non tutti ebbero la grazia accordata a Padre Andréu. Una folla numerosa scese, in condizioni estremamente precarie, lungo i dif­ficili sentieri di Garabandal. E quanti portavano nel loro cuore la ferita di un'oscura notte di delusione! Uniamoci alla nostra testi­mone Maria Herrero: «Una valanga di persone scendeva in fretta, a gran velocità, sci­volando e spingendo. In aggiunta a questa confusione, si scatenò un temporale come non ne avevo mai visti: i rombi di un tuono assordante risuonavano nella valle, i fulmini striavano il cielo buio della notte accecandoci con il loro bagliore. Non si sentivano più, come durante la salita, preghiere e canti. Quante volte avevo in­vocato San Michele! Dovetti percorrere scalza l'ultimo chilometro prima di Cossio; a contatto con quel pantano pietroso, le scarpe si erano rotte e fui costretta a buttarle via. E nonostante questo, che crediate al pro­digio o no, non riportai la minima escoriazione o la minima ferita. I piedi erano intatti come se fossi scesa su un tappeto. Quando, a un ora molto avanzata della notte, mi ritrovai final­mente nella mia camera a Santander, piansi, desolata. La pagina di Garabandal mi sembrava definitivamente chiusa». Termina così il suo racconto: «Tutti gli avvenimenti di quel gior­no sono rimasti profondamente impressi nella mia memoria, come l'immagine di una giornata di "illusione e penitenza": pallida im­magine di ciò che ci riserverà il giorno del Giudizio. Ogni detta­glio sembrava essere stato previsto per metterci alla prova: furono veramente momenti di purificazione. Nulla mi ha mai procurato una tale impressione del timor di Dio come quel giorno». A dir la verità, quel 18 ottobre 1961 tanto a lungo atteso, così diverso da quello che molti speravano, è senza alcun dubbio uno dei momenti culminanti del grande mistero di Garabandal, una data chiave, una giornata con un non so che di Sinai (Es 19,16). Questa data segna, per Garabandal, la prima ammonizione esca­tologica del Cielo al mondo d'oggi; questo mondo così ostinato nella sua ribellione. Nello stesso tempo, avvenne una sorta di selezione naturale tra le file dei testimoni, una prima «cernita» tra gli entusiasmi facili, non sempre limpidi e autentici dell'inizio. Non era stato annunciato nessun miracolo. Ma praticamente tutti lo aspettavano... Ora, il miracolo non avvenne! Eppure possiamo porci la doman­da: «I fatti si sarebbero svolti in questo modo se i rappresentanti dell'autorità diocesana avessero fedelmente compiuto la loro mis­sione e se si fosse agito in accordo con le istruzioni che le bambine riferivano di aver ricevuto? » Sottomissione e umiltà aprono le porte ai miracoli del Cielo. Al contrario, le chiude la nostra pretesa di ritoccare i Suoi disegni secondo il nostro giudizio e il nostro «buon senso». In questo campo dobbiamo obbedire, non tracciare noi la stra­da o fissare noi i programmi. «Distruggerò la sapienza dei sapienti, annullerò l'intelligenza degli intelligenti» (1 Cor 1, 19).

 

Capitolo quinto

IL PRIMO «INVERNO» DI GARABANDAL

Dubbi e discordie

A partire da quella memorabile data del 18 ottobre comincia per Garabandal un lungo inverno. Inverno in senso proprio, per­ché la cattiva stagione era alle porte: pioggia, freddo, gelo, neve...; ma anche inverno in senso figurato, perché il mancato miracolo aveva come paralizzato l'intero villaggio. Due giorni dopo, il 20, si sentì Jacinta esclamare in estasi: «Ora più nessuno ci crede, sai? Così ora sarai costretta a fare un mi­racolo molto, molto grande perché tutti ricomincino a crede­re...» In risposta la Madonna sorrise e le disse: «Vedrai, crede­ranno». Ad acuire quella sensazione confusa di sconfitta, si aggiunse una nuova Nota, resa pubblica dal Vescovo e firmata dall'Amministra­tore apostolico della diocesi, Don Doroteo Fernandez. Quest'ultimo, con i membri della Commissione, senza perdere tempo a studiare con ponderatezza gli eventi gli eventi, senza raccogliere le dichiarazioni giurate dei testimoni di prima fila, con una fretta che non riusciamo a spiegarci ma che la storia - e Dio - giudicheranno, emise un nuovo giudizio negativo circa la soprannaturalità dei fat­ti. La Commissione sostenne il suo giudizio su una serie di osser­vazioni: alcune discutibili, altre inaccettabili. A dispetto della nuova atmosfera venutasi a creare, le visite a Garabandal, sebbene in forte calo, non cessarono completamente. I fenomeni che le bambine erano ormai abituate a conoscere pro­seguivano senza notevoli rallentamenti. Esistono testimonianze interessanti su questo periodo, special­mente quella di una persona coinvolta fin dal principio negli eventi: Placido Ruiloba di Santander, la cui convinzione nella realtà delle apparizioni non fu esente da crisi e dubbi... «Ero rimasto impressionato da quel messaggio del 18 ottobre... Il contenuto del messaggio, perfettamente ortodosso, tormentava la mia coscienza. Io stesso ammettevo che, effettivamente, abbia­mo una grande necessità di diventare migliori e la buona volontà a questo riguardo non mi faceva difetto. Tuttavia mi attanagliava sempre il dubbio sui fatti di Garabandal, e quando salivo lassù - cosa che facevo di frequente - mi sforzavo di discernere tutto ciò che poteva rivelarsi negativo in questa faccenda, non per puro spi­rito di contraddizione, ma con la preoccupazione di far luce sulla verità. Ebbene, uno di quei giorni d'autunno del 1961 (non ricordo esat­tamente la data) arrivai al paese molto preoccupato a causa degli avvenimenti che avevano sconvolto quel luogo. Vi giunsi di notte, poiché le giornate si erano considerevolmen­te accorciate. Le bambine al mio arrivo erano già in estasi. Restai apposta in disparte, in un luogo abitualmente fuori dal passaggio delle note marce estatiche. Sempre tormentato dai dubbi, dissi men­talmente: "Vergine Santissima, guarda la quantità di persone che sono venute fin qui. Se tutto questo fosse solo una menzogna... guarda quanto male potrebbe risultarne! Ti chiedo, per dimostrarmi chiaramente che tutto quello che accade qui proviene proprio da Te, Ti chiedo che, sebbene molto in disparte come sono adesso, una delle bambine venga a portarmi il crocifisso da baciare"». Il signor Ruiloba racconta ancora come dal luogo dove si trova­va potesse osservare bene ciò che succedeva, e come Conchita, ri­masta sola in estasi... tornò infine a casa sua. «Provai allora una terribile delusione, constatando che la mia preghiera non era stata esaudita e che, di conseguenza, tutti i miei dubbi sembravano fondati. Stavo assaporando dentro di me que­sta amara soddisfazione, quando... » vide con sorpresa la porta della casa aprirsi, alcune persone uscire e, dietro, la ragazza nella sua caratteristica posizione di estasi... «Venendo dritta verso di me, giunse al luogo dove ero rimasto nascosto e si pose davanti a me. Per tre volte mi diede da baciare il crocifisso che aveva in mano! La risposta era così chiara che tutti i miei dubbi svanirono, alme­no temporaneamente». Il signor Ruiloba fece bene a mantenere questa riserva: «alme­no temporaneamente»: a Garabandal, infatti, si manifestò in più occasioni quella incredulità delle anime che già Gesù aveva rim­proverato: «Se non vedete continuamente dei segni e dei prodigi, non credete» (Gv 4, 48). Il signor Ruiloba, che stentava a convincersi pienamente, ebbe la possibilità di assistere a un altro prodigio nel corso di una mar­cia estatica di Jacinta, Loli e Conchita insieme. Il tempo era brut­to, come spesso in quella stagione, e le vie del villaggio erano co­perte di fango. «Conchita si trovava tra le altre due ragazze. All'improvviso, il crocifisso che teneva tra le sue mani appoggiate al petto, cadde. Ella non dovette accorgersene, poiché la marcia continuò per ven­ticinque o trenta metri. Allora si udì la bambina dire: "Ah! devo raccoglierlo? Dov 'è? dimmi dove si trova". Senza cambiare posizio­ne, le tre veggenti tornarono camminando a ritroso fino al luogo dove era caduto il piccolo crocifisso. Conchita, sempre con la te­sta rivolta verso l'alto, si abbassò, con il braccio teso verso il bas­so. La sua mano si trovava a cinquanta centimetri da terra, quan­do gli astanti, trasalendo d'emozione, videro la piccola croce emer­gere dal fango ed elevarsi fino alla mano della bambina. Lei lo strinse con effusione e lo ripose tra le sue mani sul suo petto. Non appena terminò l'estasi, andai ad esaminare scrupolosamente le mani di Conchita e il suo crocifisso. Posso affermare - e sono pronto a sostenerlo dovunque - che né sulle mani, né sul crocifisso c'era la minima traccia di fango». Si era sperato che il 18 ottobre facesse definitivamente luce sui fatti strani di Garabandal o che svelasse la chiave di questo enig­ma complicato, causa di disorientamento per molti; c'erano infat­ti molte prove a favore e alcune a sfavore. Ahimé, il 18 ottobre lasciava le cose così com'erano, salvo forse il fatto che aumentò la confusione di molti fedeli. Come si sarebbe risolta la situazione? Non dobbiamo stupirci che le bambine abbiano allora chiesto, come mai prima, un miracolo o una prova inconfutabilmente con­vincente. Conchita scrisse sul suo diario: «Nel corso delle apparizioni non abbiamo mai smesso di chiedere alla Madonna di compiere un mira­colo, ma Lei non rispondeva nulla, sorrideva soltanto. E noi di ri­mando ribadivamo: "Su, fallo perché la gente creda, dato che ora nes­suno crede più... "Ma la Vergine Santissima continuava a sorridere». Sembrava che la Madonna non avesse premura di giungere ad una conclusione, che avrebbe chiarito ogni cosa. Era venuta di Sua spontanea volontà, con l'intenzione di fare una lunga visita e di convivere per un po' di tempo con i suoi figli, come indica in mo­do significativo la data della sua prima apparizione (festa della Vi­sitazione); la Madonna «visita per restare con i suoi figli» (Lc 1,56), comunicando quotidianamente mediante le quattro veggenti elet­te e facendo loro sperimentare, abbondantemente, fino a che punto Ella è la Madre delle madri, la nostra premurosa e meravigliosa Ma­dre del Cielo. Ciò che insegnava alle ragazze, ciò che faceva fare loro, ciò che chiedeva loro, in verità ci riguarda tutti; ciascuno di noi deve con­siderare tutti i messaggi della Vergine come rivolti a se stesso.

Le apparizioni si fanno più rare. La penitenza si intensifica

Durante il mese di novembre di quel 1961, in pieno autunno, due date furono memorabili, il 4 e il 18. Il 4, le estasi cominciarono fin dalle 8 del mattino. La Vergine chiese alle quattro ragazze di alzarsi più presto ogni mattino, d'o­ra in poi, per andare alla «Calleja» a recitare «il rosario dell'aurora». Nessuno meglio della loro Madre del Cielo poteva misurare il sacrificio che avrebbe rappresentato per quelle piccole sicuramen­te assonnate il fatto di alzarsi ogni giorno così presto, e, per di più, in quel periodo dell'anno... Ma sappiamo che questa fatica fu loro espressamente chiesta per aiutare con le preghiere e i sacri­fici i «poveri peccatori». Maximina Gonzalez, zia e madrina di Conchita, scriveva il 19 novembre alla famiglia Pifarré di Barcellona: «Le apparizioni continuano ugualmente, benché siano ora me­no movimentate: le bambine non corrono più come prima. Non sappiamo quali saranno gli sviluppi, ma tutto si è fatto più serio. Adesso viene meno gente a causa del 18 ottobre e del maltempo; ma se la gente non viene, poco importa. Le piccole, nonostante amino dormire, già da qualche tempo si alzano alle 6 della mattina per andare a recitare il rosario lassù ai Pini. Se questo non venisse dalla Vergine, non si alzerebbero così leste; costa tanto uscire anche a noi e alla gente». Il giorno prima della data di questa lettera, il 18 novembre (si nota a Garabandal una certa predilezione per il 18), un mese esat­to dopo la memorabile giornata del messaggio, fu annunciata «uf­ficialmente» alle bambine una pausa invernale delle apparizioni. La Madonna diede alle bambine una specie di congedo: non per­ché non l'avrebbero più rivista, ma perché l'avrebbero vista meno di frequente. A ciascuna di esse fissò una data o le date di un nuo­vo incontro: la speranza di vedere arrivare questa data avrebbe reso più sopportabile il lento svolgersi della stagione invernale. Don José Ramon Garda de la Riva, parroco di Barro de Clanes (Asturie), conserva una lettera di Conchita datata 25 novembre 1961, nella quale la bambina scrive: «Non ho più avuto apparizioni da otto giorni. La Vergine mi ha detto che, al più presto, sarebbe tor­nata il giorno dell'Immacolata Concezione. Se non viene quel giorno, non la rivedrò prima del 27 gennaio. Mari-Cruz non la vedrà più fino al 16 gennaio e Jacinta non prima del 16 dicembre; Maria-Dolores, non so...» Il medesimo sacerdote possiede ugualmente un'altra lettera di Jacinta datata 27 novembre, che fornisce dettagli più precisi: «Ora la Madonna mi appare solo di quando in quando. Il 6 mi ha chiesto di recitare al mattino un rosario al "Cuadro" e fino al 16 dicembre non la vedrò più... Conchita, Maria-Dolores e Jacinta la aspettano in gennaio. Così tutti i giorni recitiamo molti rosari augurandoci che la Madonna faccia un miracolo affinché tutti credano». Qualche giorno più tardi, Mari-Cruz scriveva da parte sua: «Esco tutti i giorni a recitare il mio rosario alla "Calleja" alle sei del mat­tino... Dal 19 novembre le nostre estasi sono cessate. Ne aspettia­mo di nuove: (seguono le date di ciascuna). Nel frattempo vivia­mo come tutti gli altri bambini: andiamo a scuola, giochiamo, di­ciamo le nostre preghiere quotidiane... ». Loli da parte sua confidava al parroco di Barro il 3 dicembre: « Sono triste nel non veder più la Madonna...; spero di rivederla a gennaio, ma non so se da qui ad allora tornerà a farmi visita... » E la Madonna tornò. Dispongo di un interessante resoconto scritto della signora Ma­ria Josefa Lueje, residente a Colunga, nelle Asturie: «Mi recai a Garabandal per la seconda volta il 18 dicembre 1961. Da Cossio facemmo il percorso a piedi: in quel periodo il sentiero era impraticabile e la salita diventava un atto di eroismo. Poco prima di arrivare al paese, riunimmo in un sacchetto di plastica tutto quello che avevamo portato per essere presentato al bacio della Vergine: rosari, medaglie, crocifissi... Li demmo a Loli che non era sicura (ci disse) di avere un'apparizione. Questo ci rat­tristò, ma bisognava rassegnarsi. Ci apprestammo a passare la notte in veglia, com'era ormai abitudine. Il padre di Loli, Ceferino, si impietosì di noi e, dato che non eravamo in molti, ci fece entrare nella sua cucina a causa del gran freddo della notte. Di buon mattino, verso le 4, Loli saltò su dalla sedia dove si trovava e cadde in ginocchio al suolo con un rumore impressio­nante. Però questo non fu nulla in confronto al cambiamento av­venuto sul suo volto: quel volto, rustico e rotondetto, si trasfor­mò, si affinò fino ad assomigliare a quello di un angelo. Uscì poi per il paese, accompagnata dal padre e da noi tutti. Entrò in una casa dove si trovava un vecchio in coma da qualche giorno; Loli lo segnò con il crocifisso: il malato riprese conoscenza e rico­nobbe i suoi figli. Vedemmo in seguito la bambina scendere, con la testa completamente rivolta all'indietro, la scala irregolare e ri­pida: non capivamo come facesse a non cadere sfracellandosi a terra. Ci portò quindi fino al portale della chiesa. Lì recitammo il rosa­rio. Credo di non averlo mai recitato così in tutta la mia vita. Ritornando verso la casa, incrociammo Jacinta e suo padre che andavano a recitare il rosario al "Cuadro" come tutte le mattine, di buon ora. Era impressionante vedere quelle creature inginoc­chiate per terra, senza riparo, sulla neve, sopportando temperatu­re così rigide, ancora nel cuore della notte. Nella Garabandal di allora regnava un vero fervore, si faceva veramente penitenza. Io non posso dimenticare tutto ciò che vidi e che mi procurò tanto bene, riavvicinandomi molto a Dio». Conchita conservava la speranza che la festa dell'8 dicembre non passasse senza che la Madre del Cielo avesse per lei qualche atten­zione: infatti non fu delusa. «Il giorno dell'Immacolata Concezione, la Vergine Santissima ven­ne a farmi gli auguri per il mio onomastico. Sorrideva molto e le sue prime parole furono: "Buon onomastico!" Venne in serata; mi dissero che rimasi a lungo in estasi, ma a me sembrò tutto molto breve. Poi Ella se ne andò perché io potessi anda­re a cenare. Tornò un'altra volta e mi dissero che: - ero andata nel luogo della prima apparizione, - ero scesa a ritroso fino a casa, - ero uscita per recitare il rosario per le vie del paese, - avevo visitato tutti i malati del borgo, - avevo dato loro il crocifisso da baciare. Di tutto ciò, potete star certi, non mi rendevo affatto conto: lo so perché me lo dicevano dopo. E ora, fino al 27 gennaio, non la rivedrò più» (Da una sua lettera al parroco di Barro, 13 dicembre 1961). Così, quell' 8 dicembre, giorno del suo onomastico, Conchita fu oggetto di delicate attenzioni da parte della Madre del Cielo. Queste attenzioni, tuttavia, non si limitarono a lei soltanto, poiché Maria ha a cuore molti figli... Dai pochi cenni che abbiamo dato (e che potremmo moltiplica­re) è facile capire come si svolse il primo inverno a Garabandal, o per lo meno come lo vissero le bambine. Cominciavano ogni giornata con il sacrificio e la preghiera. Molto presto, quando non ne avevano assolutamente voglia, si alzavano dal letto e si avviavano al buio e al freddo a riallacciare ogni mat­tina la loro conversazione con il Cielo. Il luogo della «Calleja», che nei mesi precedenti aveva conosciuto numerosissimi assembramenti, accoglieva ora un piccolo gruppo di persone che, silenziosamente, battendo i denti talvolta per il freddo e a volte per la paura, si ritrovavano per offrire al Signore e a Sua Madre le primizie della loro vita quotidiana. A quell'ora non c'era altra compagnia e pro­tezione se non quella degli Angeli custodi. La neve imbiancava il «Cuadro» e i dintorni, e si vedeva solo il fiato dei devoti in pre­ghiera nell'aria glaciale. Ave Maria piena di grazia, il Signore è con Te; Tu sei benedetta... Santa Maria Madre di Dio e Madre nostra, prega per noi pecca­tori... Peccatori! Poveri peccatori! Quanto bisognava pregare per lo­ro, implorare la misericordia del Signore, offrendo per loro quella penitenza alla quale essi non pensavano!

L'oggetto di preghiere e sacrifici

Ma quelle preghiere non erano sempre recitate, quei sacrifici non erano sempre e solo offerti in favore dei peccatori. Sin dall'inizio delle apparizioni la Vergine aveva manifestato un interesse parti­colare, specialissimo, per coloro che costituiscono una parte vitale della Chiesa: i sacerdoti. Nessuno poteva allora sospettare la ter­ribile crisi che presto sarebbe scoppiata nel mondo ecclesiale... Ora, questa crisi di vocazioni, che nessuno ancora prevedeva, preoccu­pava già la Madre in modo angosciante. Ecco la testimonianza del dottor Celestino Ortiz di Santander, che assistette a tante manifestazioni annotandole con precisione: «Un giorno, dopo l'estasi, chiedemmo a Maria-Dolores: "Cosa ti ha detto l'Apparizione?" "La Madonna mi ha detto di fare sacrifici per la santità dei sacerdoti, affinché conducano molte anime sui sentieri di Cristo; mi ha detto che il mondo diventa ogni giorno sempre peggiore ed ha bisogno di sacerdoti santi che riportino le anime sulla retta via... In altre occasioni, la Vergine ha chiesto che si preghi special­mente per i preti che vogliono abbandonare il sacerdozio affinché perseverino. In caso contrario, che grande dolore per Lei! » Lassù in montagna, nel solitario paesello, durante quel freddis­simo inverno, abbondavano le occasioni di fare penitenza. Un altro illustre medico di Barcellona, il dottor Ricardo Pun­cernau, raccolse dalla bocca di Ceferino, padre di Loli, questo rac­conto curioso: «Eravamo in pieno inverno. Quel giorno non c' era nessun visi­tatore al paese. Il freddo era pungente, nevicava e c'era tormenta. A casa ci eravamo coricati come di consueto. Verso le 3 del mat­tino, sentii Mari-Loli alzarsi dal letto e vestirsi. - Dove vai a quest'ora? - chiesi dalla mia camera. - La Madonna mi chiama al "Cuadro". - Sei matta? Come puoi uscire con il freddo che fa? - La Madonna mi chiama. - E se ti assale qualche lupo? Beh, fa' quello che vuoi, ma né io né tua madre ti accompagneremo. La bambina terminò di vestirsi, la udimmo aprire e chiudere la porta di casa dietro di sé... Se fossi stato davvero certo che fosse la Vergine, non mi sarei mosso dal letto: la Madonna si sarebbe presa cura di lei. Ma come sempre ero assalito dai dubbi e non potei restare a letto: ci alzam­mo, mia moglie ed io, ed uscimmo alla ricerca di nostra figlia. La ritrovammo là, al "Cuadro", in mezzo alle raffiche di neve, inginocchiata, in estasi. Faceva un freddo spaventoso. Pensando che fosse gelata, con la mano le sfiorai le guance: erano calde come se si fosse appena alzata dal letto. Restammo accanto a lei, esposti alle intemperie, per più di un'ora, morti di freddo, mentre lei sembrava totalmente insensibile e sod­disfatta, sprofondata nella contemplazione della sua Visione. A quanto pare, eravamo noi genitori che dovevamo fare penitenza». Un'altra notte, molto simile a questa, ebbe per protagonista Con­chita; fu una notte indimenticabile per sua madre Aniceta. Lei stessa me la raccontò. Alle 2 e mezzo la bambina, che aveva già ricevuto le inequivo­cabili «chiamate», cadde in estasi... Poco dopo uscì di casa. Suo fratello Aniceto, detto Cetuco, che si trovava con lei in cucina, accompagnandola ebbe solo il tempo di prendere una lanterna e seguirla. Era una bianca notte di neve, e il freddo era molto intenso. Come scivolando nell'aria in direzione della collina, su quel bian­core irreale, Conchita risalì rapidamente il sentiero ripido dei Pi­ni. Cetuco non poteva seguirla a una tale velocità; e quando, ansi­mante, giunse in cima, lei era già lì inginocchiata in estasi. Qualche tempo dopo, senza fiato per la salita penosa nell'oscu­rità e sulla neve, arrivò la madre. La povera donna restò perplessa di fronte alla scena che si offriva ai suoi occhi. Là, ai piedi di un albero, i suoi due figli erano inginocchiati nel suolo fangoso in pre­ghiera: Conchita, assorta nella sua Visione, conduceva la preghie­ra, Cetuco rispondeva con grande devozione. Poteva fare altro se non unire la sua voce a quell'insolita preghiera? Erano mattutini mariani come di certo mai nessuno aveva visto fino ad allora. Passò un certo tempo, poi l'atteggiamento della bambina lasciò intendere che l'estasi stava per terminare. Sua madre si affrettò a partire per prima, per aiutarla eventualmente durante il ritorno. Precauzione inutile: la veggente, senza uscire dal suo rapimento estatico, in ginocchio e a ritroso, fece una meravigliosa discesa sulla neve, aggirando tutti gli ostacoli. All'evocazione di tali episodi - che non sono gli unici - si resta stupefatti nel leggere come persone serie siano giunte a dire che tutto a Garabandal aveva una spiegazione naturale..., che tutto, o quasi tutto, era dovuto solo all'interesse dei genitori per le bam­bine e a una ricerca di notorietà e di esibizionismo da parte di queste ultime, le quali, secondo alcuni, cadevano in estasi solo quando si sapevano circondate da un pubblico di curiosi! Durante i mesi di gennaio e febbraio 1962, poche giornate paiono degne di nota. Si assistette al ripetersi difatti incredibili, come quelli che abbiamo appena descritto; eppure questi fatti sembra­vano sempre nuovi. Poco a poco le estasi delle bambine ripresero il consueto ritmo anteriore al 18 di novembre. È importante, tuttavia, sottolineare una singolarità di queste set­timane: l'interesse mostrato dalla Madre del Cielo verso tutti i Suoi figli in situazioni penose: malati, anziani, moribondi, deceduti di recente... Testimonianze come queste abbondano: «Stanotte stessa, le bam­bine hanno pregato molto per tutti i malati... » «Dopo essere cadute in estasi e aver pregato al "Cuadro", visi­tarono le case dei malati, dando loro il crocifisso da baciare e pre­gando con loro... » «Quel giorno (31 gennaio) dopo il rosario in chiesa, Mari-Cruz in estasi percorse il paese, visitando molte case dove dava il croci­fisso da baciare; andò poi anche dal nonno di Jacinta, Leoncio (quasi moribondo), e vi restò un quarto d'ora circa, pregando con lui, dandogli il crocifisso da baciare... Poco dopo, arrivarono Loli e Conchita che fecero la stessa cosa e restarono con lui per un'ora. E qui tornarono in sé e si sedettero sul bordò del letto... » Le attenzioni verso il povero «zio Leoncio», che spesso perdeva conoscenza, non cessarono neppure quando terminò i suoi giorni in questo mondo. Si legge in una annotazione di Don Valentin dell'8 febbraio 1962: «Alle 9 di sera, Mari-Loli in estasi uscì da casa sua, raggiunse la casa di Leoncio, dove si trovava la sua spoglia morta­le, e diede il crocifisso da baciare a quasi tutte le persone presenti del paese. Pregò davanti al feretro e poi se ne andò... » Tutti questi interventi della Madonna a Garabandal avevano lo scopo di mostrarci come vivere la nostra fede nelle diverse circo­stanze della vita, soprattutto quelle di maggiore sofferenza.

 

Capitolo sesto

RIFIORISCE LA SPERANZA

Tempo di Quaresima

La Quaresima, tempo forte della liturgia e della vita cristiana, sarebbe cominciata tardi, in quell'anno 1962. Il Mercoledì delle Ceneri, giornata densa di significato, cadeva il 7 marzo. Gli abitanti di Garabandal sapevano che la Quaresima è un tempo di penitenza, per cui tentavano di imporsi qualche mortificazione secondo le antiche tradizioni. Tuttavia, alla luce di quello che suc­cedeva, quelle penitenze tradizionali acquisivano per tutti, o al­meno per molti, un significato particolare. Fu così che la richiesta di un miracolo - non nuova per altro nelle preghiere estatiche del­le ragazze - divenne supplica quotidiana. Il 12 marzo, si udì chiaramente questa supplica nel corso d'un colloquio di Loli con il defunto Padre Luis Maria Andréu. Due giorni più tardi, il 14, Jacinta ripeteva con insistenza alla Madonna: «Su, compi il miracolo, così la gente finalmente crederà». E Maximina Gonzàlez scriveva fin dal 7 marzo alla signora Asun­cion Pifarré: «La notte scorsa Jacinta e Mari-Loli chiedevano, co­me sempre, un miracolo: "Dai! dicevano, fai un miracolo. Lo farai? Dai! Vengano splendori, poiché la gente non crede. Fa' un miracolo affinché tutti credano... Dopo l'estasi abbiamo chiesto loro cosa avesse risposto la Santa Vergine; esse replicarono che, per tutta risposta, la Vergine sor­rideva». Eppure numerosi miracoli si erano prodotti a Garabandal e con­tinuavano a prodursi, ma non erano sufficientemente spettacolari agli occhi della gente. Probabilmente le bambine non avrebbero insistito tanto se la Madonna non avesse lasciato loro intendere che alla fine sarebbe giunta una grande «prova» circa la verità di questi eventi. «Crederanno! Crederanno!», era solita ripetere in tono profetico - anche se un po' afflitto - la misteriosa Apparizione. L'umana, la troppo umana impazienza dei fedeli era spiegabile: i        mesi passavano e non succedeva nulla di decisivo. Di queste settimane di Quaresima, scandite da meraviglie «or­dinarie», la giornata del 18 marzo, vigilia di San Giuseppe, fu par­ticolarmente luminosa. Domenica 18 marzo arrivarono a Garabandal due preti in abiti civili: uno dei due era il celebre Padre José Silva, fondatore della «Città dei Ragazzi» di Orense. Durante il pomeriggio e la notte dal 18 al 19, non smise di seguire da vicino le ragazze in estasi, ferme o in movimento, a volte importunandole e sforzandosi di cogliere quanto più possibile dei loro misteriosi dialoghi. I genito­ri delle piccole veggenti dovettero richiamarlo all'ordine, così co­me il brigadiere della guardia civile. Alla fine, un sacerdote in abito talare, notando che questi rimproveri non sortivano effetto, e ve­dendo che Jacinta aveva persino rischiato di cadere, spinse mala­mente Padre Silva credendo si trattasse di uno scocciatore qua­lunque. Nello stesso istante, Jacinta si voltò e pose il crocifisso sulla bocca dei due sacerdoti, che si guardarono, si capirono, si abbracciarono e si avviarono insieme verso la chiesa, dove si confessarono reci­procamente fra le lacrime. Siccome non avevano l'autorizzazione per celebrare la messa all'interno della chiesa, decisero di farvi un'ora di Adorazione not­turna. La cosa era difficile per una questione di permesso e di chiavi: della chiesa, della sacrestia, del tabernacolo. Alla fine, tutto si risolse: i due sacerdoti fecero un'ora di Ado­razione «sui generis». Uno dei due testimoniò poi: «Abbiamo re­citato il rosario come non mai in vita nostra, quasi tutto con le braccia aperte a forma di croce». E il brigadiere della guardia civile, Juan Alvarez Seco: «Potem­mo fare l'ora di Adorazione, in alcuni momenti con le braccia aperte a forma di croce. In seguito facemmo quasi tutti la Santa comu­nione. Fu meraviglioso». Maximina, in una lettera del 21 marzo alla famiglia Ortiz di San­tander, scrive: « C'erano qui molti sacerdoti... L'altra notte, alle 3 del mattino, nel corso di un'ora di Adorazione, chiesero ad alcu­ni dei presenti di commentare i misteri del rosario. Il primo fu il signor Matutano. La gente piangeva commossa. Il Marchese di Santa Maria si scusò di non poterlo fare a causa dell'emozione che lo attanagliava. I Padri parlarono molto e Padre Silva notò: "Che peccato per colui che, ammesso a contemplare tutte queste mera­viglie, si rifiuti poi di meditarle. Io giuro davanti a Dio: credo che tutto questo sia vero''. Parlarono moltissimo... » Pochi giorni più tardi, un'altra giornata meravigliosa: quella del 25 marzo, festa dell'Annunciazione della Vergine Santissima (che dà inizio al punto più alto della storia: l'Incarnazione del Figlio di Dio). In quell'anno coincideva con la terza domenica di Quaresima. Sim6n, il buon padre di Jacinta, qualche giorno più tardi con­fessava al dottor Ortiz: «Avevo spesso pensato che, a causa della data, quel giorno sarebbe stato particolare. E così avvenne. Le tre bambine, Conchita, Mari-Loli e mia figlia, che fino ad allora ave­vano sempre recitato il rosario, quel giorno lo cantarono dall'ini­zio alla fine. All'inizio dell'Apparizione solo un piccolo numero di noi le accompagnava, ma poco a poco la gente uscì di casa e alla fine, quasi tutto il paese era presente. Provavo una gioia immensa; in effetti, conosco bene mia figlia, so quanto sia timida e per questo pensavo: deve sicuramente con­templare qualcosa di meraviglioso per cantare in quel modo. La mia gioia e la mia emozione in quel giorno furono così intense quasi avessi visto l'Apparizione stessa! » Anche Maximina dà la sua testimonianza: «La domenica, gior­no dell'Annunciazione, le estasi cominciarono alle 9 e mezzo e si conclusero a mezzanotte. Le ragazze cominciarono il rosario can­tando. Poi riferirono che la Madonna chiedeva a tutti di parteci­pare: cantavamo tutti, non so se potete immaginare la nostra straordinaria emozione. Sempre cantando scendemmo poi al cimi­tero e, in ginocchio, recitammo un mistero sul portale d'ingresso. All'improvviso, Conchita passò il braccio attraverso la griglia del portale con il crocifisso in mano: sembrava che volesse offrirlo da baciare. Si commossero persino i cuori più duri... Poi, sempre cantando sino alla fine, tornammo al paese. Into­nammo la Salve Regina, il cantico "Cantiamo l'amore degli amo­ri" e altri canti che le bambine inventavano nella loro estasi... E dicevano: "Ah! quanto è contenta la Madonna per la presenza di così tanta gente! Come sorride! Come ci guarda tutti!"»

«Le mie vie... » dice il Signore

Mentre la gente incalzava le bambine a chiedere un miracolo (un miracolo spettacolare, perfettamente convincente secondo criteri umani), non riusciva a discernere i numerosi miracoli che si realizzavano, più incredibili e importanti per la salvezza delle ani­me di qualsiasi altro prodigio straordinario. Di questi miracoli, ricchi di grazia salvifica ma non abbastanza vistosi, pochi sono giunti a nostra conoscenza: e ciò si spiega a causa del loro carattere eminentemente intimo. Come, per esempio, il caso di una signorina di Segovia. Tutti sapevano della sua condotta «mondana»: scoprì a Garabandal la sua vera vocazione, e, serenamente ma irrevocabilmente, entrò nel­l'Ordine delle Figlie della Carità. Il fatto successe alla fine del gen­naio '62, in seguito ad alcuni segni da lei ricevuti durante l'estasi di Loli. Nessuno avrebbe potuto prevedere quel cambiamento in­teriore che si manifestò la notte stessa. Il giorno seguente la ma­dre della signorina confidava a una sua amica: «Dev'essere successo qualcosa di eccezionale a mia figlia: ha pianto tutta la notte! E non ricordo di averla mai vista piangere prima d'ora». Qualche tempo dopo, l'ingegnere tedesco già ricordato, Maxi­mo Fòschler, trovò a Garabandal la fede. La scrivo in corsivo per indicare che non si tratta di una fede qualsiasi, ma della fede cri­stiana per antonomasia, quella cattolica, la sola che io consideri veramente piena. (Scrivendo questo, non ho intenzione di mani­festare nessuna disistima per altre credenze, se sono professate con retta intenzione). Con rettitudine, l'ingegner Fòschler praticava la religione pro­testante nella quale era stato cresciuto ed educato da genitori pii. Salì a Garabandal non a causa di dubbi religiosi, ma per l'amicizia che lo legava alla famiglia Andréu. Ne abbiamo già parlato. All'epoca della sua prima visita, accadde l'incidente d'auto al Col de Piedras Luengas, seguito dall'inspiegabile guarigione della caviglia fratturata di Padre Ramon. Perché tornò di nuovo a queste alture all'inizio del 1962? «Padre Ramon Maria Andréu doveva iniziare un corso di Eser­cizi Spirituali a Loyola il 19 marzo: ci teneva molto che vi parteci­passi anch'io. Francamente, non avevo gran voglia di andarci: mi chiedevo cosa potesse farci un protestante in un santuario come quello di Loyola. Per questo decisi di tornare a Garabandal nella speranza di tro­vare una soluzione. Arrivammo al villaggio sabato 17 marzo. Formavamo un bel grup­po di amici di Madrid, insieme con mia moglie e uno dei miei fi­gli. Vedemmo una prima estasi di Mari-Loli alle 9 di sera: intesi che quest'estasi sembrava interamente dedicata a mia moglie, a mio figlio ed a me. Raccontare nei dettagli cosa successe rende­rebbe il resoconto interminabile. Il giorno successivo, seconda domenica di Quaresima, alle 6 del pomeriggio, assistemmo tutti al rosario che per me fu veramente emozionante ». Durante questo rosario, l'ingegner Fòschler chiese insistentemen­te che se tutto quello proveniva dalla Vergine, gliene fosse data una prova tangibile, senza equivoci, più precisamente durante un'e­stasi di Jacinta (che da molti giorni non ne aveva), una prova per lui, lui solo. Durante le prime ore della notte, Mari-Loli ebbe un'apparizio­ne, da sola, con una marcia estatica per le vie del paese: Maximo Fòschler pensò che gli esercizi a Loyola non rientrassero nel suo destino. Improvvisamente, a notte già avanzata, venne annunciato che Jacinta aveva avuto la «chiamata» e alle 3 precise cominciò la sua estasi. Per un po', l'ingegnere si mescolò tra coloro che accompa­gnavano la marcia estatica; ma, vedendo che non succedeva nien­te, niente di ciò che aveva chiesto, si ritirò rattristato nel piccolo bar di Ceferino. Alcuni minuti più tardi vi giunge la bambina in estasi; si fa stra­da in mezzo agli astanti e va diritta verso l'ingegner Fòschler dan­dogli da baciare il crocifisso con il quale lo segna consecutivamen­te per tre volte: lui, e nessun altro... «La risposta del Cielo era evidente per me: il giorno dopo, 19 marzo, arrivavo a Loyola per cominciare i primi Esercizi Spiritua­li della mia vita». Quello che successe in seguito, il lettore può immaginarlo: Ma­ximo Fòschler entrò solennemente nella Chiesa cattolica, con il battesimo del 31 marzo, e il giorno seguente, 1 aprile, riceveva commosso la sua Prima Comunione. Le grazie del Signore verso questa persona a Garabandal non terminarono con la sua conversione al cattolicesimo. «Nel corso di altre visite, mi successero molte cose; non posso raccontarle tutte nei dettagli... Ma non posso tacere quanto segue: Un giorno Mari-Loli, all'uscita da un'estasi, mi prese in dispar­te e mi comunicò quello che la Vergine Santissima le aveva detto di me... Con la timidezza propria delle ragazzine e con la poca cul­tura che aveva allora, Loli mi parlò a lungo con grande naturalez­za. Mi raccontò tutta la mia vita, gli eventi, le situazioni, dai primi anni fino a quel giorno... Assolutamente nessuno al paese poteva conoscere tali dettagli... (alcuni erano sconosciuti persino a mia moglie; io stesso ne avevo dimenticati molti, che mi tornarono in mente mentre li sentivo ricordare dalla bambina)». Anche questo fatto ha una «spiegazione naturale», secondo l'opi­nione più volte ribadita, ma mai provata, della famosa Commissione d'inchiesta? O era un gioco da bambine, come si volle pretendere? La gente persisteva a chiedere un miracolo per credere. Non pos­siamo non fare la seguente osservazione: la prima conversione alla fede fu quella di una giovane israelita; la seconda quella di un pro­testante; la terza? Ci piacerebbe poterlo scrivere: quella di un cri­stiano ortodosso (vale a dire di un fedele delle Chiese orientali sci­smatiche). Allora per una grazia provvidenziale si troverebbero sim­bolicamente raccolte in correlazione con il mistero di Garabandal, le tre più importanti fedi dei «fratelli separati» che per Maria, no­stra Madre, dovranno un giorno riunirsi in Gesù per realizzare il desiderio a Lui tanto caro: che si faccia un solo gregge sotto un solo Pastore. Ma se ancora ignoriamo se un ortodosso si sia mai convertito alla nostra fede a Garabandal, sappiamo però che le bambine, fin dall'inizio, salutarono la Celeste Apparizione nell'antica lingua li­turgica dei cristiani d'Oriente, recitando più di una volta l'Ave Maria in greco. Ora, nel disegno di Dio, tutti i dettagli hanno il loro significato e la loro portata.

Il tempo del Mistero Pasquale

Per il cristiano, la Quaresima si conclude con una settimana che, per la sua densità liturgica e religiosa, è celebrata come Settimana Santa. Non deve stupire il fatto che il carattere penitenziale proprio di tutta la Quaresima raggiunga il suo punto culminante in que­st'ultima settimana. Da sempre i figli della Chiesa l'hanno vissuta così. Anche la Vergine Santissima ha tenuto a sottolinearlo in quella Settimana Santa del 1962 passata con i suoi a Garabandal. E’ suf­ficiente ricordare un fatto: «Durante la Settimana Santa, la Madonna mi chiese di andare alle 5 di mattina (a recitare il rosario alla "Calleja"). Ci sono andata perché la Vergine chiede sempre che si faccia penitenza» (Conchita nel suo diario). I giorni della Settimana Santa concentrano la nostra attenzione sui diversi quadri del grande Mistero Pasquale: Passione e Trion­fo, Morte e Vita, Annientamento ed Esaltazione. Il Signore Gesù ha voluto viverli pienamente. Ma è necessario che anche noi ri­cordiamo e riviviamo quei misteri personalmente e comunitaria­mente, foss'anche soltanto nel momento della loro commemora­zione annuale nella liturgia. La Chiesa da sempre si è mostrata molto attenta a questo ri­guardo, nelle sue celebrazioni cultuali. Ma anche il popolo cristia­no è sensibilissimo a queste celebrazioni, in maniera particolare nelle nostre regioni spagnole. Di qui la proliferazione di confra­ternite e di gruppi che rappresentano le scene della Passione, pro­cessioni, predicazioni, figurazioni sceniche sacre. La Settimana Santa a San Sebastian de Garabandal, piccola e povera parrocchia, non poteva rivaleggiare con quella di altri luo­ghi del nostro paese, ma quella del 1962 si svolse in un ambiente veramente unico. Per la prima volta nella sua storia, il piccolo villaggio vide af­fluire numerosi stranieri che vennero a trascorrervi i giorni «santi». Alcuni giungevano da terre molto lontane. Era evidente che non venivano per il paese in sé, ma perché una «Misteriosa pre­senza» vi si manifestava, e venivano a cercare ciò di cui tutti ab­biamo bisogno, ciò a cui diamo il valore più alto. Fu così che nelle prime ore del pomeriggio di quel Venerdì San­to, il 20 aprile, giunse a Garabandal una signora di Barcellona, molto nota in Spagna per il suo talento di scrittrice e per la sua posizione sociale, vincitrice di molti premi letterari: la signora Mercedes Sa­lisachs de Juncadella. Saliva a Garabandal con un interrogativo impresso nel suo cuo­re sensibile di madre: cosa ne era stato di suo figlio Miguel, tragi­camente morto in un incidente alla tenera età di 18 anni? A questo figlio aveva rivolto un affetto tutto particolare e più di un volta aveva trovato in lui un prezioso confidente. La sua tra­gica scomparsa era stata per lei un colpo terribile che l'aveva la­sciata per lungo tempo psichicamente e spiritualmente prostrata: smarrimenti, ribellioni, perdite di fede si succedevano in lei con una violenta intensità. Con una gran pena la signora Mercedes aveva tentato di uscire dalla sua prostrazione per tornare alla normale pratica cristiana. Ma non poteva strapparsi dal cuore quella domanda straziante: dov'è, e come sta ora lui? Finché un giorno sentì parlare di ciò che accadeva in quel luogo appartato della montagna cantabrica. Pensò subito: se il Cielo comunica con quelle bambine di Gara­bandal, non potrei trovare lassù, tramite loro, la risposta che cer­co tanto? Il Giovedì Santo si mise in cammino (un lungo cammino, non solo di chilometri) verso Garabandal. L'importante era accedere a Garabandal con una disposizione di umiltà interiore. Bisognosa, terribilmente bisognosa di ottene­re una grazia speciale che la viaggiatrice non poteva a nessun tito­lo rivendicare, doveva rimettersi semplicemente e totalmente al­l'immensa bontà di Dio. La sera stessa del suo arrivo al paese, il Venerdì Santo, porse alle bambine la domanda che la angosciava: «Quando vedrete la Madonna, chiedetele di mio figlio». «Che succede a suo figlio?», chiese una di loro. «E morto!» Non ci furono altre spiegazioni, e non fu fatto il nome del ra­gazzo... Nel corso dell'estasi, fu subito chiaro che le ragazze stavano par­lando alla loro Visione della donna e del figlio. Tuttavia, né il po­meriggio di quel giorno, né durante le lunghe ore di veglia che se­guirono, giunse una risposta a quella madre tanto angosciata. Cre­dette persino di percepire un rifiuto: «Tutte le volte che la bambina in estasi mi dava il crocifisso da baciare, lo sottraeva poi palesemente alle mie labbra. Se tutto questo era vero, l'idea che la Vergine rifiutasse apposta i miei omaggi mi faceva soffrire crudelmente... » Successe poi qualcosa di ancor più crudele quando la signora Mer­cedes riuscì a parlare con le due bambine uscite dall'estasi: «Allora, non vi ha detto niente?» «Sì, la Madonna mi ha risposto, ma al momento non posso dirle niente» (parole di Loli che Jacinta ripeté poi). Lasciarono la signora Mercedes di ghiaccio. Davanti a lei aveva le ore della notte per rimuginare i suoi tristi pensieri: la sua posi­zione di fronte a Dio, la possibile situazione di suo figlio. Una ve­ra notte da Venerdì Santo! Non sappiamo se quella donna riuscì, nella sua afflizione, a pren­dere sonno quella notte: sappiamo invece che il giorno seguente non le portò grande consolazione. Il calendario indicava il 21 aprile: Sabato Santo. Liturgicamente, era giorno di moderata serenità e di santa speranza. L'orazione che si recitava ad ogni ora dell'Ufficio divino esprimeva questi senti­menti, ma per la signora di Barcellona ogni slancio di speranza con­solatrice sembrava bandito. «Il Sabato Santo non fu per me migliore del giorno preceden­te. Nonostante la cordialità che mi prodigavano gli abitanti e per­fino le mamme delle bambine, tutto il paese era ostile ai miei oc­chi. Mi sembrava che quei tratti di amabilità fossero dovuti alla pietà, oppure al timore che aveva risvegliato negli astanti l'evidente isolamento al quale la Vergine mi aveva condannata. A me impor­tava poco ciò che pensava la gente; quello che mi faceva davvero soffrire era percepire l'imperturbabile disdegno che, visibilmente, il Cielo mi testimoniava». Alla fine, al termine delle proprie riflessioni silenziose, toccata dalla grazia divina, la donna assunse il vero atteggiamento cristia­no: «Accettavo tutto, mi sottomettevo completamente alla volon­tà di Dio». Si sentì considerevolmente sollevata; anche se non del tutto li­bera dalla sua angoscia interiore, prese la decisione di non rivolge­re più domande al Cielo e di non aspettarsi più il minimo segno dalle bambine. Nel corso delle prime ore della notte, non ci furono processioni attraverso il paese, ma alcuni indimenticabili cammini estatici. Le quattro bambine, tenendosi per mano, percorsero con passo leg­gero tutte le vie, seguite da una folla che portava lampade, pre­gando e cantando inni... Quella singolare processione si concluse verso le 22 e 30. A quel­l'ora cominciava in chiesa la solenne veglia pasquale, officiata quel­l'anno da un gesuita: Padre Félix Corta, venuto al paese per le con­fessioni e le cerimonie liturgiche della Settimana Santa. Le vie erano deserte così come le case, con qualche rara ecce­zione: abitanti e stranieri si raccolsero in chiesa per celebrare i riti della veglia pasquale che si sarebbe conclusa con gli «Alleluja» della gioiosa messa della domenica di Pasqua. Un po' più tardi, le donne del paese si raccolsero di nuovo, per recitare, secondo un antico costume, un rosario prima dell'aurora. La signora Mercedes ricorda: «Malgrado la stanchezza, mi sen­tii spinta ad unirmi a loro. Cantando e pregando, cominciammo a percorrere le viuzze: l'atmosfera di devozione che regnava era impressionante! Non ricordo un mattino di Pasqua più fervente di quello. Stavamo per incominciare il terzo mistero quando avvenne l'insperato... » Loli arrivò al braccio della Marchesa Rosario de Santa Ma­ria per comunicare finalmente la risposta tanto attesa della Ver­gine: quel figlio tanto compianto godeva in Cielo di una felicità totale. «Il seguito sono incapace di descriverlo. Ricordo solo con preci­sione che baciai Loli come se fosse Miguel stesso. Poi, mi ritrovai nelle braccia di Rosario che pure piangeva e mi diceva cose che non ero in grado di capire. La gente faceva circolo intorno a me; tutti mi guardavano spa­ventati ed emozionati». La scena dovette essere certamente molto commovente, poiché il brigadiere della guardia civile, Juan Alvarez Seco, ha lasciato scrit­to qualche anno dopo: «La scena che successe vicino alla cabina del trasformatore rimase bene impressa nella mia memoria e credo che non si cancellerà mai. Penso che sarà la stessa cosa per quanti ne furono testimoni». Loli non poté trasmettere integralmente alla signora Mercedes il messaggio celeste a causa del suo pianto e della sua commozio­ne. Lo fece più tardi quando si ritrovarono in casa, dopo l'indi­menticabile rosario. «La Vergine mi ha anche detto che suo figlio è molto, molto felice e che è tutti i giorni con lei. Io sapevo già che suo figlio era in Cielo; lo sapevo già da ieri perché la Madonna me lo aveva rive­lato, ma dovevo tacere perché Ella me lo aveva ordinato: "Dighe­lo solo domani dopo la Messa di Pasqua" ». Certamente una strategia così sottile non poteva essere frutto della mente della bambina. Durante il Venerdì e il Sabato Santo, giorni in cui si rivive il mistero della Passione, la Vergine aveva fatto passare quella don­na attraverso lunghe ore di umiliazione, di sofferenza e di oscuri­tà. Sarà solo con gli «Alleluja» della messa pasquale che le accor­derà questo insperato e celeste regalo. Ecco come Mercedes Salisachs conclude il suo racconto: «Quando tutto si concluse in quel bel mattino, mi pareva di camminare sul­le nuvole... » Se nel caso precedente possiamo dire che vi fu una sorta di in­contro con la grande gioia della Pasqua, nell'episodio che segue assisteremo ad un incontro tutto personale con il mistero. Nei luoghi e all'ora in cui quella signora catalana faceva le espe­rienze che abbiamo appena riassunto, un altro distinto visitatore del paese viveva le sue con non meno forte emozione. Si trattava di un noto medico di Vitoria: il dottor José de la Ve­ga. Uomo pio ma poco incline all'entusiasmo religioso, salì a Ga­rabandal come molti altri per semplice curiosità, per vedere cosa accadeva lassù. E quello che succedeva produsse su di lui un effetto tale che si ritenne obbligato, in coscienza, a farlo conoscere. In un giorna­le della sua città, El pensamiento Alavés, apparve un articolo con la sua firma, il 27 aprile 1962, venerdì di Pasqua. Tutto l'articolo è improntato a una serena e intima convinzione personale: è un articolo che non si basa sul «sentito dire», né tantomeno su una visione superficiale della realtà. «Dal 18 giugno scorso, possiamo dire che la Madonna percorre quotidianamente le vie tortuose di un piccolo villaggio perso in mezzo alle cime dei Picchi d'Europa (per essere esatti, le cime di Garabandal non sono proprio i Picchi d'Europa, ma sono molto vicine ad essi). Un intero paese, di appena 70 famiglie, vive da mesi in pieno sconvolgimento. Quattro bambine, quasi ogni giorno una o più vol­te, a ore fissate in precedenza, pregano, parlano, baciano la Vergi­ne immerse in estasi. Le loro famiglie ne sono vivamente turbate. Ho trascorso con loro la Settimana Santa. Ho ascoltato gli abitan­ti e i visitatori. Ho conversato con le bambine prima e dopo le loro visioni. E siccome professionalmente non trovo spiegazione a ciò che io stesso ho visto, mi sento spinto a credere al miracolo. - Ma lei, ha visto la Madonna? - mi chiederanno alcuni - No, io non ho visto la Madonna, ma ho sentito la Sua presen­za con l'anima e con il cuore. Un padre gesuita che mi accompagnava mi diceva all'inizio. "La vedo scettico, dottore". "No, padre, sono solo completamente sconcertato. Il mio desi­derio più grande sarebbe quello di sperimentare la stessa cosa che provano le bambine e quelli che le accompagnano, ma lei sa me­glio di me che la fede è un dono che Dio non concede a tutti nella stessa misura. Qualche ora dopo questo dialogo, per la seconda volta, potei seguire da vicino un'apparizione. Era l'alba del Sabato Santo. Pio­veva senza sosta e l'intero paese era un miscuglio di fango e pie­tre. Con le lampade in mano, seguivamo con passo lento le veg­genti che, in estasi, percorrevano le strade. Le mani giunte sul petto, stringevano un crocifisso, con la testa completamente rivolta all'indietro e gli occhi fissi al Cielo... Talvolta si inginocchiavano, pregavano, baciavano la croce... La metà degli abitanti e tutti i forestieri le seguivano affascinati». Racconta poi le diverse tappe di quella marcia estatica, già a noi nota per via di altri racconti simili di tanti visitatori di Garaban­dal, e vi aggiunge la propria esperienza e quella di sua moglie. Ter­mina così: «Tornerò a Garabandal come vi tornano tutti quelli che ci sono andati. Porterò con me amici e medici e chiederò loro di cercare una spiegazione al mistero di queste quattro piccole montanare. Ma più ancora, chiederò a Dio che mai nessuno possa privarmi del­l'emozione che ho provato quel mattino di Sabato Santo: è così bello credere al miracolo! ».

 

Capitolo settimo

ERSO LA PIENEZZA

Tempo pasquale: l'Angelo della Comunione

Il mercoledì di Pasqua, 25 aprile, Maximina Gonzalez scriveva una lettera alla famiglia Pifarré di Barcellona, in cui è annotato un particolare interessante: «Era molto tempo che le bambine non vedevano più l'Angelo. Ieri sera hanno parlato a lungo con la Madonna. Noi non le capi­vamo, ma le vedevamo molto felici: la Madonna stava dicendo lo­ro che l'Angelo sarebbe ritornato per dar loro la Comunione nei giorni in cui non ci fosse stata la Santa Messa... Così, adesso, avreb­bero visto più spesso l'Angelo. Infatti qui a Garabandal non ab­biamo messe all'infuori della domenica. Oggi l'Angelo ha dato loro la comunione alle 5 del mattino. Le abbiamo viste inghiottire l'ostia dopo aver porto la lingua; quindi in continuazione hanno recitato una estacién, e tutto questo sempre in estasi... » Mi pare che dall'ultima estate, l'Angelo non era più tornato a dar loro la comunione. Qui, conviene porsi due domande: Perché questo intervento soprannaturale per delle bambine, non sante ma creature di buona volontà, affinché potessero ricevere il Signore tutti i giorni o quasi? Perché il Cielo si cura che questo accada specialmente in tempo pasquale? A Garabandal si realizzò, prima di tutto e con una profusione senza precedenti, una splendida Epifania mariana. In essa Maria volle mostrarsi pienamente Madre nostra; volle che questa mater­nità fosse sentita e vissuta fin quasi alla sazietà (se si può parlare di sazietà in simili realtà). Ma Maria non è per noi un «fine», e tanto meno nessuno la ricerca per se stessa. Gli incontri con Lei e il nostro accedere - co­me le bambine - alla sua scuola di formazione dovrebbero farci in­contrare veramente Gesù... Nessuno potrà comprendere lo strano e complesso «mistero» di Garabandal senza valutare la sua dimen­sione essenziale così sintetizzabile: «A Gesù attraverso Maria». Ora Gesù è per noi, qui e ora, Presenza Eucaristica nel Santis­simo Sacramento, sull'altare. E’ per questo che a Garabandal, sin dal 18 giugno 1961, data di inizio degli eventi, non ci fu apparizione o estasi che non aves­se connessione o riferimento a questa ineffabile presenza del Si­gnore nell'Eucarestia. L'avvocato di Palencia, Luis Navas Carrillo, che molto spesso si recò a Garabandal osservando i fatti con viva attenzione, scris­se: «Chiesero alle bambine perché nelle loro estasi andassero così spesso verso la chiesa, sapendo che l'avrebbero trovata chiusa (se­condo le disposizioni dell' autorità diocesana stabilita nell'agosto del 1961). Risposero candidamente: "Perché alla Madonna piace stare vicino a suo Figlio Gesù"». Ritroviamo qui, a illuminare questo aspetto delle apparizioni, una delle fondamentali esortazioni del primo messaggio: «E neces­sario visitare spesso il Santo Sacramento». Ma l'Eucarestia non è soltanto la presenza reale e continua di Gesù fra noi; essa è anche e principalmente il «pane di vita» (Gv 6,51) di cui devono nutrirsi le anime. E’ per questo motivo che a Garabandal l'attenzione delle veg­genti e degli spettatori è stata subito attratta verso la comunione: in essa si realizza il grande incontro personale con il Cristo Salvatore. Scrive Conchita nel suo diario: «L'Angelo San Michele all'inizio delle apparizioni ci dava delle ostie non consacrate, perché avevamo già mangiato... era venuto per inse­gnarci a fare la comunione. Poi, un giorno, ci chiese di andare ai Pini l'indomani, a digiuno. Obbedendo ai suoi ordini, giungemmo ai Pini, dove l'Angelo ci ap­parve con un ciborio d'oro e ci disse: "Vi daò la comunione, ma sta­volta le ostie sono consacrate. Recitate il Confesso a Dio onnipo­tente..." Noi lo recitammo e in seguito ci diede la comunione. Poi ci chiese di fare il ringraziamento e di recitare con lui la pre­ghiera Anima di Cristo. Infine terminò dicendo: "Tornerò domani". E scomparve». Questa prima comunione, ricevuta dalle mani dell'Angelo, pare avvenne agli inizi di luglio del 1961. E sicuramente questo episodio che Conchita raccontò nel novembre 1967, alla pittrice Isabel De Daganzo di Burgos:  «Ricevemmo la prima comunione dalle mani dell'Angelo, Mari­Cruz ed io, ai Pini, alle 5 del mattino. Alle 6 fu la volta di Loli e Jacinta che la ricevettero un po’ più giù, in un luogo chiamato la "Campuca", vicino all'attuale cappella di San Michele e alla pietra che la gente ormai chiama "la Pietra dell'Angelo"». Questo fatto si rinnovò per parecchie settimane (anche se non sempre allo stesso modo) come Conchita stessa scrive nel suo diario: «L'Angelo venne a portarci la comunione per molti gior­ni». Ma questi fenomeni dovettero interrompersi probabilmente al­l'inizio dell'autunno, al più tardi a partire dal 18 ottobre 1961. Maximina dice infatti nella sua lettera ai Pifarré di Barcellona: «Mi sembra che dall'estate scorsa l'Angelo non sia più tornato per da­re la comunione». Perché, dunque quel ritorno al fervore eucaristico durante il tem­po pasquale del 1962? Due caratteristiche distinguono il tempo liturgico pasquale: da un lato la celebrazione prolungata del trionfo di Gesù sulla morte; dall'altro, l'ardente desiderio della Chiesa di stimolare i fedeli ad una migliore comprensione di quel mistero attraverso la parteci­pazione all'Eucarestia. E nell'Eucarestia infatti che il Cristo «no­stra Pasqua» realizza e perpetua il suo sacrificio per noi come «Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo». Questo precetto della Chiesa esorta a «comunicarsi almeno una volta all'anno du­rante il tempo pasquale». La promessa fatta dalla Madonna alle bambine, nel corso delle estasi del Martedì di Pasqua, era dunque significativa: «L'Angelo verrà ora a darvi la comunione tutti i giorni quando non ci sarà la Santa Messa al paese». La promessa si realizzò, come conferma un'altra lettera del 4 maggio 1962 di Maximina, tranne che per Mari-Cruz (non se ne conosce il perché). «E’ stupefacente vederle arrivare (Loli e Jacinta alle 6 del matti­no e Conchita alle 8) alla porta della chiesa dove hanno luogo le estasi; cadono in ginocchio per terra e, in estasi, recitano il Confesso a Dio onnipotente... terminando con una preghiera a Gesù Sa­cramento. E’ una grossa emozione per me vederle!... » Le annotazioni scritte di Don Valentin sul fenomeno delle vi­sioni ripresero il 12 maggio 1962, dopo una lunga interruzione. Questi appunti parlano, molto spesso, di queste comunioni miste­riose per le mani dell'Angelo. Potremmo definire gli eventi di Garabandal, nella primavera del 1962, come un continuo passaggio dal Mariano all'Eucaristico e dall'Eucaristico al Mariano. Questa annotazione del sacerdote, da­tata 12 maggio, è assai «sintomatica»: «Alle 8 del mattino, come al solito, Conchita andò con sua madre e molta gente alla "Calle­ja" a recitare il rosario. Lo recitò in stato normale. Andò poi alla porta della chiesa dove cadde in estasi e recitò il Confesso a Dio onnipotente... Dopo la preghiera, uscì dall'estasi e disse che l'Angelo le aveva dato la comunione. Il tutto era durato una quindici­na di minuti». Il giorno dopo, 13 maggio, era anche il 45° anniversario della prima apparizione di Fatima. E possibile che a Garabandal nessu­no se ne ricordasse. Ma vuoi il caso, vuoi la Provvidenza, questa data non passò inosservata. Dagli appunti di Don Valentin sap­piamo che il tempo era pessimo: «pioveva e grandinava». Al calar della sera Jacinta e Loli entrarono in estasi: sotto la pioggia e la grandine percorsero il paese, cantando cantici e recitando preghiere. Giunsero alla casa di un certo Jeronimo, morto il giorno prima, lì pregarono con i presenti per i vivi e per i defunti. Salirono in seguito ai Pini, dove recitarono con calma il rosario e scesero poi a ritroso verso il paese... Quella veglia notturna si protrasse a lungo; verso mezzanotte, Conchita uscì nuovamente di casa in estasi e percorse di nuovo le vie, recitando il rosario e dando da baciare il crocifisso. Raramente si è risposto in modo tanto esemplare alla richiesta fondamentale di Fatima: «Fate penitenza, pregate, chiedete per­dono per i peccatori... » Le diverse annotazioni di questo periodo confermano abbondan­temente i fatti. Il 15, festa di Sant'Isidoro, patrono dei contadini in Spagna, «verso le 8 del mattino, Conchita andò come al solito alla "Cal­leja" per recitare il primo rosario; poi da lì si recò fino al por­tico della chiesa; cadde in estasi e l'Angelo le diede la comu­nione. . . » Il 16: «Oggi Conchita è andata ai Pini alle 9 del mattino. Dice che l'Angelo le ha dato la santa comunione...» A proposito di questi fenomeni così tipici di Garabandal, con­viene fare qualche osservazione, poiché fin dall'inizio suscitarono disaccordi. Conchita stessa scrive nel suo diario: «Quando lo dicevamo alla gente, alcuni non ci credevano, soprattutto alcuni sacerdoti, perché - dicevano - gli angeli non possono consacrare. Quando rivedemmo l'Angelo, glielo riferimmo e lui ci precisò allora che prendeva le ostie nei tabernacoli, che le prendeva sulla terra (non le portava dal Cielo) già consacrate. Lo dicemmo alla gente, ma qualcuno dubitava ancora». Questa obiezione che gli angeli non hanno poteri sacerdotali si dissipò molto presto per alcuni. Ma per altri continuò a sembrare un fenomeno fuori luogo: dal momento che c'erano dei sacerdoti, che senso aveva l'intervento degli angeli? Non era una specie di inutile spreco di azioni soprannaturali o miracolose? Era evidente che l'Angelo agiva sempre a titolo suppletivo, co­me «ministro straordinario» per rimediare all'assenza del sacerdo­te, ministro ordinario della comunione. Ora, questa assenza era frequente a Garabandal, poiché il parroco risiedeva a Cossio, do­ve celebrava abitualmente la Messa. Nei pochi giorni feriali in cui la Messa veniva celebrata nel paese di San Sebastian, le bambine difficilmente potevano assistervi, per via del loro orario scolastico e delle faccende domestiche. Un testimone eccezionale di tutto questo, Don José Ramon Gar­cia de la Riva, ex parroco di Barro e ora di Lugas (Asturie), affer­ma nelle sue memorie: «Ho potuto constatare che l'Angelo non dà la comunione alle bambine quando il parroco o un altro sacer­dote autorizzato per esercitare il ministero a Garabandal è pre­sente e officia il rito. Lo annoto qui come risultato di uno studio che ho intrapreso e che ho potuto verificare a più riprese». Più di una volta, queste comunioni furono occasione di grandi lezioni per le bambine. Jacinta non dimenticherà mai una lezione che ricevette fin dall'inizio. Un giorno, mentre si trovava inginoc­chiata fra due delle sue amiche, pronta a ricevere l'ostia, vide l'Angelo passare oltre. Gli chiese il perché con le lacrime agli occhi e le fu risposto che le veniva rifiutata la comunione a causa di una risposta villana da­ta a sua madre. «L'Angelo tornò a darmi la comunione solo quan­do mi fui confessata». Termineremo questo capitolo con qualche dettaglio sulle circo­stanze di queste stupefacenti comunioni estatiche. I luoghi dove furono più spesso somministrate furono: la pietra della «Campuca», i Pini e le porte della chiesa... Quanto all'ora, come se volesse dar prova di osservare scrupo­losamente la disciplina della Chiesa, l'Angelo non dava mai appun­tamento oltre le ore della mattina. Per ciò che riguarda il «rito», si seguiva quello in vigore per la comunione al di fuori della Messa: l'Angelo le invitava dapprima a un po' di riflessione, a pensare «a Colui che stavano per riceve­re»... Seguiva poi la recita penitenziale dei Confesso a Dio onnipo­tente, per la purificazione dell'anima... la comunione e infine, per evitare una partenza affrettata, l'Angelo esigeva l'azione di grazie che si coronava con la recita dell'orazione Anima di Cristo. La durata era abitualmente di una quindicina di minuti. Garabandal, su questo e su altri punti, veniva a portare a tem­po debito i richiami del Cielo a certe deviazioni nefaste che già si stavano diffondendo nella Chiesa.

Le notti delle grida

Alle soglie della grande festa eucaristica del 1962, quella del Cor­pus Domini che cadeva giovedì 21 giugno, ci furono a Garabandal due notti che non saranno dimenticate facilmente. Tre giorni prima della festa, si produsse un evento che, a mio avviso, non fu sufficientemente compreso: la ripresa del ruolo at­tivo dell'Arcangelo San Michele nello svolgersi degli eventi. Non si trattava più per lui di venire soltanto a dare la comunione alle bambine, secondo un modo divenuto ormai abitudinario; veniva a prendere attivamente parte a una specie di rilancio di tutti gli eventi. Il 18 giugno, Don Valentin annota: «Al calar della sera, Mari­-Cruz si recò al "Cuadro", dove cadde in estasi... Poi camminò per il paese. Poco dopo Jacinta e Loli uscirono a loro volta di casa, andarono pure al "Cuadro" dove caddero in estasi. Dissero di trovarsi in presenza dell'Angelo». Don Valentin si rendeva conto della novità del fatto? Per molti mesi San Michele era come sparito, o si presentava solo per com­piere, silenziosamente, un ministero occasionale. Oggi tornava per giocare un ruolo nuovo Don Valentin si rendeva conto della data in cui l'Angelo riap­pariva? Il 18 giugno! Un anno prima, in quello stesso luogo, l'Ar­cangelo e le bambine si erano incontrati per la prima volta. Quan­ti avvenimenti si erano susseguiti da allora, e quanti altri ancora sarebbero accaduti! Il giorno seguente, martedì 19 giugno, il sacerdote annotò un'altra volta: «alle 10 e 30 della sera, Jacinta, Mari-Loli e Mari-Cruz ebbero un'apparizione al "Cuadro"... Già prima Loli e Jacinta vi erano andate di corsa e, arrivate, erano cadute in ginocchio in estasi; vi­dero l'Angelo che disse loro di tornare più tardi alle 10 e 30. Tor­narono al paese e all'ora indicata risalirono con Mari-Cruz». Questo secondo colloquio con l'Angelo dovette essere impres­sionante e terribile, a giudicare da alcune parole delle bambine e dalle lacrime che versavano: «Non dirci così!... Portaci via!... Che si confessino... Che si preparino!... » La breve nota, poco dettagliata, di Don Valentin, che talvolta annota soltanto in modo sintetico parole riferite da altri, non dà un'idea precisa di quello che dovette essere quell'incontro al «Cua­dro». Eloisa de la Roza, cognata del dottor Ortiz, si trovava in quella stessa ora in casa di Conchita, la' quale non era andata con le sue amiche: sua madre non aveva acconsentito a lasciarla uscire per­ché le faceva male un ginocchio. Era già notte avanzata, quando arrivò il signor Ruiloba, in preda a una viva emozione, che disse loro senza preamboli: - Ma non avete sentito le grida che lanciavano le altre tre bam­bine nella «Calleja»? - No. - Era spaventoso. Don Valentin dice nelle sue annotazioni che «questo episodio durò 50 minuti» e che, alla fine, spinte dalle angoscianti domande degli astanti, le ragazze dissero che avrebbero messo per iscritto il racconto della loro estasi. Io possiedo una fotocopia del breve testo firmato da due delle quattro bambine, datato 19 giugno 1962. Non è molto quello che dice, ma è importante quello che lascia intravedere: «La Madonna ci ha detto (o piuttosto ci ha fatto dire dall'Angelo) che a torto non ci preoccupiamo del Castigo, poiché verrà senza che ce lo aspettiamo. Perché il mondo non è cambiato, e Lei ci ha già avvertito due volte. Non lo ascoltiamo, e il mondo va peggio. Bisogna cambiare molto, e niente finora è cambiato. Preparatevi, confessatevi: che il castigo presto e molto grande verrà se il mondo non cambierà... Che tristezza che il mondo non cambi! Se non cambia, un casti­go grandissimo verrà presto». Firmato: Mari-Dolores Mazon, Jacinta Gonzalez. Le bambine cercavano con queste righe scritte in forma ripeti­tiva, malgrado la loro povera capacità di espressione, di inculcare in maniera pressante le due o tre esortazioni udite e vissute (e con quale intensità!) nel corso della loro angosciante estasi. Garabandal, quella notte, dopo le urla impressionanti della «Cal­leja», non dovette riposare tranquillamente. Ma erano in arrivo ore peggiori. Mercoledì 20 giugno il giorno cominciò luminoso. Il mattino Conchita... Ma sentiamo il racconto di Eloisa de la Roza, cognata del dottor Ortiz: «Accompagnavo Conchita su ai Pini dove lei sperava che l'Angelo le avrebbe dato la comunione. Pregavamo e aspettavamo... ma la cosa andava per le lunghe. La madre della ragazza, Aniceta, si voltò impaziente verso il paese e vide davanti a casa sua una persona che le sembrava essere un frate o un sacerdote: "Sembra che porti dei cordoni bianchi", disse. Allora Conchita si alzò e si affrettò a scendere: noi la seguimmo... » Il nuovo arrivato era Padre Félix Larrazabal, francescano, su­periore della casa-collegio che l'Ordine aveva allora nel piccolo paese di San Pantaleon de Aras (nella provincia di Santander). Don Va­lentin lo conosceva molto bene. Veniva a Garabandal per occu­parsi spiritualmente della parrocchia in occasione della festa del Corpus Domini. La signora Eloisa prosegue: «Il Padre celebrò la Messa in chiesa e ci diede la comunione. All'uscita, Aniceta commentò: "Che ra­gione c'era di farci aspettare tanto lassù? Ogni volta che viene un sacerdote al paese per dare la comunione, l'Angelo non viene ». Passò la giornata. «Nelle prime ore della notte - continua la nostra testimone - mi stavo recando a casa di Mari-Cruz per riprendere un rosario che le avevo lasciato, quando per strada appresi che le ragazze si tro­vavano già nella "Calleja" e allora mi avviai in quella direzione in tutta fretta... Ma non potei arrivare fin là. Le bambine, all'u­scita dall'estasi nella quale avevano appena visto l'Angelo, fecero sapere da parte sua che nessuno doveva oltrepassare l'ultima casa del paese; le veggenti avrebbero dovuto rimanere sole nella "Calleja" al riparo da ogni curiosità; si sarebbero potute sentire ma non vedere». Eloisa si aggregò al gruppo di persone che, tremanti e silenzio­se, seguivano da lontano lo svolgimento di una nuova estasi delle piccole. «Lanciavano delle grida spaventose -. scrive - che l'oscurità e il silenzio della notte rendevano ancor più impressionanti... Si colsero delle esclamazioni come: "Aspetta! Aspetta! No, no! Si confessi­no tutti! Ahimé! Ahimé!". Venne il momento in cui la gente cominciò a chiedere perdono a confessarsi pubblicamente. Padre Félix Larrazabal, molto emozionato, pregava ad alta vo­ce e noi tutti lo seguivamo... Osservai che quando per un motivo qualunque lui interrompeva la preghiera, le bambine ricomincia­vano a piangere e a urlare in modo ancor più angoscioso... Si pla­cavano solo quando la preghiera ricominciava». Quanto durò tutto questo? Nelle annotazioni di Don Valentin si dice che l'apparizione si concluse verso le 2 del mattino. Secondo il racconto di Eloisa, «le bambine, tornando allo stato normale, dissero alla gente che sarebbero rimaste sul posto tutta la notte per pregare. - E noi, cosa facciamo? - Quello che volete! Nessuno di noi si mosse; rimanemmo lì a pregare con loro fino alle sei del mattino. A quell'ora mattutina il Padre si recò in chiesa seguito da tutto il paese e cominciò la sfilata delle confessioni... Credo che si con­fessò tutto il paese. E, secondo l'opinione di tutti, furono confes­sioni di una sincerità e di un pentimento veramente straordinari». Alcuni mesi più tardi, la madre di Jacinta diceva a Maria Her­rero de Gallardo: «Sentivamo piangere le bambine in mezzo a tali e tante grida e tale e tanto orrore che istintivamente mi alzai per correre verso mia figlia per vedere cosa le stesse succedendo: fui con forza respinta indietro. Finita la visione, le piccole vennero verso di noi con il volto tutto bagnato di lacrime. Chiesero a tutti di confessarsi e comunicarsi, lasciando intendere che rischiavamo di imbatterci in qualcosa di terribile... » Un uomo scettico del paese, poco incline a lasciarsi dominare dalla paura e dall'emozione, il muratore Pepe Diez, affermava an­cora anni dopo in mia presenza: «Non potete immaginare cosa fu; non ho mai vissuto nulla di simile». Cosa possono aver visto allora le bambine? Il 7 ottobre dello stesso anno 1962, Maria Herrero si arrischiò a porre la domanda a Mari-Loli. Questa, malgrado la sua ripulsio­ne a parlarne, poté solo dire balbettando: «Oh! Era orribile a vedersi! Eravamo spaventatissime... Non trovo parole per descrivere ciò che vedemmo. Vedemmo, per esempio, fiumi che diventavano sangue... fuoco che cadeva dal Cielo... e qualcosa di ben più spaventoso che non posso ancora svelare. Il messaggio che ricevemmo allora ribadì che noi non ci preoc­cupavamo del castigo, mentre esso verrà quando meno ce lo aspet­tiamo. La Madonna chiese che tutti si confessassero e si comunicassero». Quello che la bambina rivelò non è molto. Quelle poche parole, tuttavia, devono bastarci per sapere cosa ci aspetta e quindi com­portarci di conseguenza. Di fronte all'orribile spettacolo che avevano contemplato, le ra­gazze pregarono la Madonna di portare con Lei i bambini (Loli e Jacinta avevano allora dei fratellini più piccoli) e risparmiare lo­ro tali sofferenze. Ma la Madonna disse loro che quando queste cose sarebbero successe i bambini sarebbero stati adulti.

Miracolo eucaristico o frode sacrilega?

Dopo due veglie come quelle delle «notti delle grida», possiamo immaginare quale fervore avrebbe regnato a Garabandal per il Cor­pus Domini del 1962... L'indomani di quella festa avvenne un evento che ha suscitato, forse più di ogni altro, discussioni e perplessità: sto parlando del cosiddetto «Miracolo dell'Ostia». Conchita scrisse nel suo diario: «Siccome insistevamo tanto pres­so la Vergine e l'Angelo affinché operassero un miracolo, il 22 giu­gno, mentre stavo per ricevere la santa comunione dalle mani dell'Angelo, egli mi disse: - Sto per fare un miracolo, non io, ma Dio, per mio tramite e il tuo. Io gli dissi: - In cosa consisterà? E lui replicò: - Mentre ti darò la comunione, l'ostia santa sarà visibile sulla tua lingua. - Ma quando mi dai la comunione, l'ostia è visibile sulla mia lin­gua - dissi pensosamente. Mi ribadì allora che la gente non vedeva l'ostia, ma che il giorno del miracolo l'avrebbero vista». Conchita rimase probabilmente un po' delusa per un miracolo in cui non trovava nulla di spettacolare. Si arrischiò a dire: «Ma questo miracolo sarà poca cosa ("es muy chicu ")». L'Angelo si limi­tò a sorridere. Per alcuni giorni la bambina restò con la curiosità di conoscere la data di questo «piccolo miracolo» («milagrucu»). Alla fine, il 29, festa degli Apostoli Pietro e Paolo, mentre si trovava ai Pini (forse attraverso una locuzione interiore) udì una voce che le dice­va: «Il 18 luglio si realizzerà il miracolo, il piccolo miracolo, "el milagrucu" come lo chiami tu». Il 29 giugno era ancora considerato giorno festivo in Spagna. Cadendo quell'anno di venerdì, apriva un periodo di tre giorni fe­stivi: venerdì, sabato e domenica; molte persone provenienti da diverse località ne approfittarono per recarsi a Garabandal. Tra loro c'era anche un certo Luis Navas Carrillo, avvocato di Palencia. Voglio tuttavia evidenziare due punti significativi che merita­no di essere menzionati. Il primo è la speciale attenzione della Ver­gine verso i ministri di Dio (il clero stava infatti per attraversare la peggiore crisi che abbia conosciuto la Chiesa nel corso della sto­ria); il secondo è l'opera di misericordia particolare nei confronti di una giovane uruguaiana, Concepcion Zorrilla, membro della com­pagnia del famoso teatro parigino delle «Folies Bergère». La notizia che un miracolo stesse per accadere si propagò pro­gressivamente. Conchita lo disse dapprima alle sue tre compagne; poi, d'accordo con loro, al sacerdote asturiano José Ramon de la Riva. Quest'ultima comunicazione venne fatta ai Pini, nel pome­riggio del 2 luglio. Ma il sacerdote asturiano se ne andò senza sapere la data in cui il miracolo sarebbe avvenuto, poiché Conchita non era ancora sta­ta autorizzata a rivelarla. Dovette attendere qualche giorno, per svelare il segreto: «Io lo dissi al paese - scrive nel suo diario - ho anche scritto delle lettere... » Ho avuto occasione di leggere alcune di queste lettere: sono re­datte in stile telegrafico: «L'Angelo mi ha detto che il 18 di que­sto mese si vedrà l'ostia nell'atto della comunione». Un destinatario di queste lettere fu il dottor Ortiz, di Santan­der. Questi, allarmato di fronte a tale annuncio, salì a Garabandal per mettere al corrente la piccola di alcune considerazioni. Nel corso della loro conversazione, Conchita espresse questa riflessione: «Ma questo miracolo mi sembra veramente molto piccolo! Più tardi verrà quello della Vergine, quello si, sarà un miracolo! Allora non si du­biterà più». Il dottor Ortiz ricevette da Conchita l'incarico di invitare Don Francisco Odriozola, sacerdote di Santander: un invito speciale perché si recasse a Garabandal il 18 luglio. Don Odriozola non tenne assolutamente conto di questo invito. Era il membro più in­fluente della Commissione d'inchiesta e si impegnava, ogni gior­no di più, nella sua ostile opposizione ai fenomeni che accadevano nel paese... Il paese stesso, a cominciare dal suo parroco, Don Valentin, sen­tiva crescere il timore e la diffidenza verso l'evento annunciato. Leggiamo nel diario di Conchita: «Don Valentin, che aveva dei dubbi sulla realizzazione del miracolo, mi disse di non scrivere più altre let­tere. Così pure un abitante del paese, Eustaquio Cuenca... La gente di Garabandal non credeva». Il 18 luglio era un mercoledì. E già fin dalla domenica prece­dente arrivarono visitatori che desideravano essere testimoni del miracolo. Tra loro c'era di nuovo Luis Navas Carrillo che ricominciò a prendere regolarmente appunti. Conclude con questa osservazio­ne: «Trassi la conclusione che se spesso la semplice curiosità costi­tuisce, all'inizio, il solo motivo della visita a Garabandal, questa curiosità deve ben presto cedere il posto a quello che si prova qui e che spinge, a poco a poco, alla preghiera e al sacrificio, fino a gustare la pace e la serenità di un Piccolo Tabor». Ma le veggenti non vivevano sempre la calma del Tabor. Il si­gnor Navas Carrillo si stupì del fatto che non ci fosse per loro nes­suna eccezione né dispensa dai lavori quotidiani: «Mi ricordo che un giorno eravamo andati a letto dopo l'alba, verso le 6 del matti­no; alle 10 Maria-Dolores si trovava già in chiesa per la Messa. Poco dopo la vidi al lavoro. Faceva la spola tra la casa e il prato con le spalle che sparivano sotto una enorme gerla di foraggio». Una breve nota dello stesso Navas Carrillo ci descrive l'ambiente del paese verso la fine della serata del 17, vigilia del grande e atte­so avvenimento. «Durante il giorno arrivarono molte auto. Le ca­se si riempivano, diventava difficile trovare un letto per la notte. Ancora una volta i fienili del paese furono messi a disposizione perché tutti potessero trovare riposo». Il 18 luglio fu doppiamente un giorno di festa: per i visitatori, perché speravano di assistere a un fenomeno meraviglioso, se­condo quanto Conchita aveva annunciato; per la gente del pa­ese, perché era per loro «il gran giorno dell'anno», la loro festa patronale. In tarda mattinata, ci fu in chiesa la Messa solenne cantata e celebrata, con diacono e suddiacono, come si faceva prima dei nu­merosi mutamenti conciliari. «Era bello - disse il signor Navas - vedere tante comunioni, specialmente di molti forestieri giunti al paese. Fu necessario spezzare a più riprese le ostie, perché tutti potessero comunicarsi». Le ore della giornata scorrevano lentamente: dapprima cariche di speranza, poi, nel pomeriggio, di crescente tensione. «E man mano che il tempo passava - ci dice questo testimone - la nostra inquietudine cresceva, al punto da tramutarsi, alla fine, in vera angoscia». «Imputavamo quel ritardo - forse anche l'annullamento del pro­digio annunciato - al ballo che si stava svolgendo in paese (non dimentichiamo che era la festa patronale). E il tempo passava. Fa­cevamo mille congetture. Quanto a me, non potevo dimenticare cosa era successo il 18 ottobre precedente... Mi faceva soffrire l'i­dea che la fede e le buone disposizioni di molte persone, soprat­tutto di quelle che venivano a Garabandal per la prima volta, po­tessero essere così calpestate». Calata la notte, molti curiosi cominciarono ad abbandonare il paese. Era soprattutto all'interno e attorno alla casa di Conchita che si aspettava, in attesa del miracolo. La bambina si mostrava fidu­ciosa, senza apprensione, ma, intorno a lei, l'atmosfera si caricava di inquietudine e di nervosismo. Alla fine, a notte inoltrata, «l'Angelo mi apparve, restò un po' con me e come gli altri giorni mi disse: "Recita il Confesso a Dio onnipotente e pensa a Colui che stai per ricevere..." Poi mi diede la comunione e mi disse di recitare l'Anima di Cristo, di fare il rin­graziamento e di tenere fuori la lingua con la Santa Ostia, fino a quando se ne fosse andato e fosse venuta la Madonna... » (diario di Conchita). La bambina ebbe dunque l'impressione che tutto si svolgesse all'interno di casa sua, senza che lei si fosse spostata. In realtà, alcuni poterono assistere alla scena all'esterno della casa... «La vi­di scendere le scale - testimonia la signora Ortiz - con le mani giunte sul petto, la testa rivolta all'indietro, la bocca socchiusa, con un'e­spressione di felicità veramente meravigliosa». Accanto alla donna, un gesuita, professore all'Università di Co­millas e specialista in materia di spiritualità, il Padre Bravo, poté contemplare la bambina e non sapeva cosa dire, riusciva solo a ri­petere: «Che meraviglia! Che meraviglia! » In estasi, Conchita usci in strada. E attorno a lei, la gente face­va ressa. Suo fratello Miguel, piuttosto robusto, e il solito Pepe Diez si misero da ciascun lato per proteggerla. Dopo aver svoltato l'angolo del gruppo di case, la bambina cad­de in ginocchio in mezzo alla strada, aprì la bocca e tirò fuori la lingua come se stesse per comunicarsi. E... Il fatto è indubitabile, attestato e confermato da numerosi te­stimoni: sulla lingua della piccola, tirata fuori con grazia sul lab­bro inferiore, si vide per qualche istante un'Ostia bianca. Benché fosse buio, la scena era sufficientemente illuminata da una molti­tudine di lampade elettriche; fu quindi possibile scattare alcune fotografie. Per alcuni il miracolo fu indiscutibile fin dal primo istan­te. Altri, specialmente quelli che non erano in prima fila tra gli osservatori, sollevarono subito dei dubbi, oggi non ancora dissipati. Dopo la comunione, la ragazza intraprese una marcia estatica. La prima fermata fu la «Calleja», dove un gruppo di persone aspet­tavano il miracolo. Tra loro si trovava anche il nostro amico, Luis Navas. Da lì, Conchita scese a ritroso verso il villaggio... Per due volte andò fino alla porta della chiesa, recitò il rosario percorren­do le vie, visitò il cimitero e infine cantò la Salve Regina, dopo aver fatto baciare alla Visione molti oggetti che le erano stati affi­dati. Poi tornò a casa sua in stato normale. La signora Ortiz le disse: «Come devi essere contenta, Conchita! Finalmente il miracolo è arrivato! » «Sì, ma la Madonna mi ha detto che molti, nonostante abbiano visto, non crederanno». La Commissione d'inchiesta del Vescovo di Santander (nessun suo membro si degnò di salire a Garabandal per osservare e con­statare direttamente quel che poteva succedere) si irrigidì nella sua posizione, sostenendo che nessun fenomeno miracoloso poteva es­sere provato e attribuendo alla suggestione, all'allucinazione e al-l'isteria collettiva ciò che gli astanti dicevano di aver visto... Per­sino davanti a prove evidenti, come i negativi delle fotografie che erano state scattate, nego i fatti e si rifugiò nell'ipotesi di una fro­de. «Conchita, aiutata da qualcuno, aveva montato tutto questo con grande abilità, ed ella stessa aveva preparato ciò che in segui­to avrebbe mostrato sulla sua lingua» Ma le testimonianze di quelli che erano stati più vicini alla ra­gazza, nel momento decisivo, erano schiaccianti. Come quella del muratore Pepe Diez, quella del giovane Miguel Gonzàlez e del saggio agricoltore di Pesués, Benjamfi Gomez: «quando Conchita aprì la bocca per comunicarsi, sulla sua lingua, esaminata con una potente lampada, non c’era niente di niente, e all'improvviso ap­parve un'ostia di un biancore immacolato»... Avrebbero rilasciato certamente questa dichiarazione nel modo più categorico e sotto giuramento davanti a un tribunale ecclesiastico. Ma né questo tri­bunale fu mai costituito, né essi furono invitati a deporre. Due uomini venuti da lontano vissero quella notte durante il fatto dell'Ostia due esperienze personali particolarmente intense: si tratta di Alejandro Damians di Barcellona e di un medico fran­cese di Parigi, il dottor Caux. Della lunga testimonianza del signor Damians voglio riprendere solo qualche punto:  «Devo segnalare che, poco prima della mezzanotte, le nubi che in precedenza oscuravano il cielo si dissiparono: una moltitudine di stelle, molto luminose tra quei monti, cominciò a brillare intor­no alla luna. Grazie a quella luce e a quella delle pile tascabili che rischiaravano la strada, potevo vedere chiaramente Conchita con la bocca aperta e la lingua fuori, nel classico atteggiamento di chi sta per ricevere l'ostia. Era più bella che mai! La sua espressione e i suoi gesti, lungi dal provocare il riso e dal sembrare ridicoli, erano di un misticismo impressionante e commovente. All'improvviso, senza ch'io possa descrivere come, senza che Con­chita avesse modificato nulla del suo atteggiamento o della sua espressione, la santa Ostia apparve sulla sua lingua. E impossibile rendere l'emozione che provai in quel momento! E che provo tuttora ricordando quell'istante... E’ qualcosa che mi prende il cuore, lo riempie di tenerezza, rendendomi incapace di trattenere le lacrime che mi inondano gli occhi. Non mi resi conto del tempo che era passato. Ricordo solo, co­me in un sogno, le voci che mi gridavano di abbassarmi, e di aver sentito un colpo violento in testa... » E cosa successe al dottor Caux? Il giorno dell'Assunta dell'anno seguente, 15 agosto 1963, i due si incontrarono di nuovo a Garabandal ed ebbero un dialogo che fu poi con cura messo per iscritto. Eccone i passaggi essenziali, più interessanti: Damians: «Quello che provai interiormente non lo potrò mai descrivere». Caux: «Mi dica, ha guardato per tutto il tempo?» Damians: «Si, da quando mi sono trovato vicino alla bambina non ho mai smesso di guardarla e posso giurare che non ho perso di vista la sua lingua nemmeno un istante. Vidi formarsi l'Ostia sulla sua lingua con una rapidità che l'occhio umano non può co­gliere. Rimasi stupefatto e ammutolito con una commozione pro­fondissima. Senza rendermene conto, presi la mia cinepresa e fil­mai rapidamente gli ultimi secondi del miracolo. La felicità che provai in quel momento, non la cambierei certamente per un mi­liardo di pesetas, né per nessuna cosa al mondo. Era una gioia così immensa, così profonda che né posso spiegarla né condividerla con altri. Qualcosa di incredibile. Qualcosa per la quale darei la mia vita e che non mi permise, poi, né di seguire le estasi della bambi­na, né di andare con mia moglie, né di stare con nessuno. Potei solamente rifugiarmi in un angolo e piangere in silenzio». Caux: «Sono contento di sentirlo. Veramente. Ci sono ancora due cose che mi piacerebbe sapere: questa sua gioia così grande era imputabile al suo stato di Grazia? Perdoni la mia indiscrezione». Damians: «Le rispondo con molto piacere: sì, mi trovavo in grazia di Dio; e la mia enorme emozione la produsse non il miracolo in se stesso, non la vista della bambina con una cosa bianca sulla lin­gua, ma... - le sto dicendo qualcosa di grande - quello che vissi, ciò che provocò quella fortissima impressione, fu lo stare ALLA PRESENZA DEL DIO VIVO E VERO. Credo che nessuno al mondo potrà procurarmi un emozione pari a quella che ebbi al VEDERE LUI, nel momento più grande e più solenne della mia vita». Caux: «Lei non sa a che punto mi rende felice da un lato e infe­lice da un altro. Io ho provato la stessa sensazione, ma in senso inverso. Io avevo preparato tutto per filmare la scena, era tutto a punto... quando tutto mi andò storto, per cui non potei filmare proprio nulla. Soltanto all'ultimo istante, all'ultima frazione di se­condo sono riuscito a vedere l'Ostia che stava già sparendo inghiot­tita dalla piccola. Nello stesso istante fui preso da un dolore spa­ventoso, orribile, che mi affogava... IL DOLORE DI UN DIO PERDUTO: DI UN DIO CHE ERO RIUSCITO AD INTRA­VEDERE, PER VEDERLO SPARIRE. Fu solo in quel momen­to che capii di essere in peccato mortale. Piangevo come lei, ma di dolore. Compresi davvero che cosa fossero il peccato e l'inferno. Mia moglie cercava inutilmente di consolarmi. Io non avrei sapu­to spiegarle niente e lei non mi avrebbe potuto capire. Era qualco­sa di troppo doloroso per essere condiviso e per riceverne consola­zione. Ebbi persino l'impressione, quella notte a Garabandal, che la gente, il paese mi evitassero, come se avessero visto il mio pec­cato. Ora so cos'è Dio e che cos'è l'inferno: non vedere Dio. Quella sensazione dell'inferno, mi spinge a cercare di smuovere il mondo ed annunciare io stesso che cosa sia successo e che cosa occorra perché le anime si salvino. La mia famiglia fu la prima a credermi folle, benché ora non siano più dello stesso avviso. Ma le assicuro che l'opinione degli altri mi importa ben poco: solo Dio mi importa». In una lettera dell'aprile 1970, la Baronessa Marie-Thérèse le Pellettier di Glatigny mi diceva: «L'altra sera a Parigi, il dottor Caux ci faceva delle confidenze su ciò che aveva provato quella notte a Garabandal... Ci ha assicurato che, nel momento preciso del miracolo, visse un'esperienza che le parole umane non sapreb­bero tradurre: e cioè cosa voglia dire perdere Dio; Caux percepì la realtà terribile dell'inferno nel preciso istante in cui fu colto dal­l'orrore per il suo stato di peccato mortale. - Preghi per me, signora, mi disse infine, perché io non ricada mai in peccato grave, ora che ho fatto l'esperienza della sua terri­bile dimensione». Credo che questa pagina di Garabandal sia di grandissimo valo­re, da qualunque punto di vista la si esamini. Tuttavia, per un in­sieme di circostanze e di processi sommari che non si riescono a spiegare, la più spessa cortina di dubbi e sospetti si è mantenuta ostinatamente sul fenomeno che la genero. Testimoni come il signor Damians e il dottor Caux non sono mai stati chiamati a deporre. La Commissione d'inchiesta si trin­cerò senza aspettare oltre, nella convinzione che tutto era stato abilmente montato da Conchita e dai suoi complici. Una domanda sorge allora spontanea: perché non ci furono al­tre frodi analoghe, dal momento che esperienze come quelle che vissero i due uomini ne sarebbero valse la pena?

Una seconda estate a Garabandal

La giornata del 18 luglio scatenò a Garabandal una vera effer­vescenza di commenti e di atteggiamenti fra i più disparati. Durante gli ultimi giorni del mese di luglio, e ancor più durante i primi giorni di agosto, l'afflusso dei visitatori continuò ad au­mentare. Arrivarono anche alcuni specialisti e persone qualifica­te, che avrebbero cercato di spiegare e giudicare l'insieme dei fat­ti: compito ingrato, in verità, poiché a Garabandal si è toccato con mano, come raramente altrove, quanto siano insondabili i disegni del Signore (Rm 11, 33). I «saggi e i sapienti di questo mondo» (Lc 10-21) ne restavano sconcertati, ed era già tanto se sapevano rifugiarsi in un silenzio discreto. Quella che abbiamo denominato «dimensione eucaristica» di Ga­rabandal acquisì durante l'estate del '62 un'importanza speciale. Gli appunti di Don Valentin riportano più volte questa annota­zione: «Oggi le bambine dicono di aver ricevuto la comunione dalle mani dell'Angelo». In data 2 agosto, festa di Nostra Signora degli Angeli: «Conchita dice che dal 18 luglio, ogni volta che non viene celebrata la Messa, l'Angelo viene a portarle la comunione, anche a Loli…» Se queste comunioni passarono più di una volta inosser­vate, fu a causa dell'ora e del luogo in cui si svolgevano. Merita una menzione speciale quello che successe il 6 agosto, festa della Trasfigurazione del Signore. Nel corso della mattina, dopo varie peripezie, giunsero tre frati di San Giovanni di Dio (Fatebenefratelli), che avevano sentito par­lare degli eventi di Garabandal. Si informarono con più precisio­ne al paese. Non era ancora mezzogiorno inoltrato quando saliro­no ai Pini per mangiare alcuni panini. Appena avevano comincia­to, arrivò una ragazza con tre bambini; venendo a sapere che si trattava di Conchita, la maggiore delle veggenti, cominciarono a porgerle delle domande e le offrirono uno dei loro panini. «No, grazie, non possiamo prendere niente, perché sono venuta qui per fare la comunione » Questa insolita risposta lasciò a bocca aperta i tre frati che non erano al corrente di quel genere di comunione. Qualche istante dopo, la ragazza si allontanò silenziosamente e lentamente dai frati, poi cadde improvvisamente in ginocchio. «Due di noi si inginocchiarono anch'essi, uno accanto a Con­chita, l'altro a tre passi di fronte a lei per osservarla meglio; il ter­zo, che aveva con sé la macchina fotografica, si preparò a scattare qualche fotografia». Videro, colti dall'emozione, la scena che tanti altri testimoni ave­vano già visto, quella delle «comunioni mistiche» delle bambine. Ma accadde un fatto nuovo: la comunicanda, dopo la sua azione di grazie, e sempre in estasi, con atteggiamenti e movimenti pieni di grazia, presentò lo scapolare di ciascun frate al bacio dell'Angelo. Tornata poi allo stato normale, disse loro che l'Angelo l'aveva condotta a fare la comunione ai Pini a motivo della loro presenza e che, inoltre, l'Angelo le aveva consegnato un messaggio per cia­scuno di loro. Possiamo immaginare la loro impaziente curiosità; ma dovette­ro tuttavia contenersi e accettare di aspettare, dal momento che Conchita non era autorizzata a svelare immediatamente questi mes­saggi. Il mese di agosto si concluse con un fatto che non è stato suffi­cientemente messo in rilievo. Don Valentin lo riporta brevemente nelle sue annotazioni con poche, succinte parole: «Loli ha un'apparizione a casa sua alle 5 e 30; dà alcuni oggetti da baciare alla Visione. Una signora inglese di fede anglicana, con molta emozione, chiede il battesimo». Era mercoledì 29. La conversione di questa signora inglese mi sembra molto signi­ficativa, se la avviciniamo ad altri episodi simili: - la conversione di una giovane israelita; - la conversione di un protestante; - la recita dell'Ave Maria nella lingua liturgica dei cristiani orien­tali scismatici. Sembra che nel «mistero» di Garabandal un'attenzione tutta spe­ciale sia riservata ai nostri «fratelli separati», affinché questa se­parazione sia felicemente superata per l'intervento della materna bontà di Maria.

Principali eventi di settembre

Il 1 settembre cadeva di sabato, il primo sabato del mese, un giorno importante per il significato che gli conferisce il Messaggio di Fatima... Dopo il rosario della sera, in chiesa, Conchita cadde in estasi davanti alla porta dell'edificio sacro. Due minuti più tardi, fu la volta di Loli e Jacinta e, altri due minuti dopo, quella di Mari-Cruz. Era insolito che le ragazze avessero, tutte e quattro contempora­neamente, un'apparizione nello stesso giorno e nello stesso istante. Un pubblico numeroso le accompagnò nella loro marcia estati­ca. Salirono dapprima ai Pini dove recitarono un altro rosario. A ritroso, intrapresero la discesa verso il paese, si recarono al cimite­ro e fecero più volte il giro della chiesa... Tre giorni più tardi si verificò un fatto inconsueto e di impor­tanza capitale. Nella notte del 4 settembre, Conchita ebbe un'estasi prolunga­ta, percorse le vie del paese fino al cimitero, dove cantò e pregò da una parte all'altra. Sempre in estasi rientrò a casa, dove cadde in ginocchio e cominciò a parlare. Uno degli astanti avvicinò alle sue labbra un microfono per tentare di registrare le sue parole, ap­pena percettibili... Dopo riascoltò la registrazione: l'emozione fu grande. Si tratta­va del chiaro annuncio di un miracolo. Annuncio che rapidamente diventò il principale oggetto dei commenti e delle attese della gente. È attestato dunque che, in quei giorni di settembre 1962, per la prima volta venne annunciato, in modo chiaro, preciso e incon­testabile, un miracolo: un miracolo che non sarebbe stato affatto un «piccolo miracolo». Dalle prime indicazioni, risultava che il miracolo: - sarebbe stato molto grande; - sarebbe stato visto da tutti i presenti a Garabandal e nei din­torni; - sarebbe stato visto dal Papa, in qualunque luogo si trovasse in quel momento, e così anche da Padre Pio; - sarebbe stato annunciato solo da Conchita. Un grande miracolo, a coronamento di tutti questi eventi, è con­fermato in queste poche righe del diario di Conchita (secondo mie informazioni, la bambina cominciò a scriverle nel settembre 1962 e smise nella primavera dell' anno seguente): «La Vergine Santissima mi ha annunciato un grande miracolo, che Dio Nostro Signore farà per Sua intercessione. Poiché il castigo sarà grande, perché ce lo meritiamo, così anche il miracolo sarà altrettanto grande, perché il mondo ne ha bisogno». L'annuncio del miracolo fu sicuramente la grande novità di set­tembre; ma questo periodo non manca d'interesse per altri moti­vi. Sarei quasi tentato di dire che questo mese fu uno dei più ric­chi di avvenimenti, così come testimoniano le precise note di Don Valentin. A più riprese si parla in esse di: 1) Comunioni mistiche delle bambine: «Abitualmente l'estasi non dura molto, ma è assai emozionante. La bambina cade in gi­nocchio (sembra che il Cielo non sia assolutamente incline a favo­rire la comunione in piedi). A voce molto bassa recita il Confesso a Dio onnipotente, si fa il segno di croce, congiunge le mani sul petto, tira fuori la lingua, inghiottisce qualcosa di invisibile, si ri­fà il segno di croce, e infine recita a voce molto bassa l'Anima di Cristo. Poi nuovamente si fa il segno della croce e torna allo stato normale. Sembra che le preghiere dopo la comunione siano recita­te dall'Angelo stesso... Le piccole mantengono sempre il digiuno fino all'ora della comunione, secondo il vecchio stile (vale a dire senza bere né mangiare niente dopo la mezzanotte precedente)». 2) Estasi accompagnate da sacrifici: «Le bambine sogliono aspet­tare a coricarsi sino alle 22 e 30; se a quell'ora non hanno ricevuto nessuna chiamata, vanno a letto. Se ne hanno avuta una, aspetta­no l'Apparizione tutto il tempo necessario, nonostante caschino dal sonno: la Madonna ha detto loro che devono aspettare e fare dei sacrifici... Esse non mancano di farne, poiché, durante la gior­nata, conducono una vita normale in casa loro, aiutando le ma­dri... La madre di Conchita mi ha detto che sua figlia dorme quasi meglio su una sedia che nel suo letto; passa le notti seduta aspet­tando l'Apparizione; dorme appoggiando la testa al muro. E il gior­no seguente, immancabilmente, riprende il suo lavoro. Le quattro bambine lavorano, lavano i piatti, puliscono, vanno a fare il buca­to al ruscello. Fanno tutto come le altre coetanee. La mancanza di sonno e di riposo non compromette né la loro resistenza né il loro aspetto». 3) Conversioni: «Nel corso di un'estasi notturna, nella notte fra il 5 e il 6 settembre, Loli ha pregato per una inglese non cattolica. Barbara era pallida ed emozionatissima. Terminata l'estasi ha par­lato con Loli; era convinta che tutto avesse origine dalla Vergine e era ben decisa a farsi cattolica». Quel mese di settembre fu un mese carico di speranze per tutta la Chiesa per l'attesa dell'apertura del Concilio ecumenico Vatica­no Il convocato da Papa Giovanni XXIII. In quel Concilio, il Pa­pa e tutta la Chiesa riponevano enormi speranze... Già molti padri conciliari, con il loro seguito, si erano messi in viaggio verso Roma. Alcuni di loro, provenienti dall'America La­tina, facevano sosta in Spagna: molti ne approfittavano per passa­re da Garabandal. Cosa succedeva veramente lassù? Fu così che, per esempio, domenica 16 settembre, due sacerdo­ti argentini giunsero al paese, osservarono con grande attenzione quanto accadeva e rimasero colpiti spiritualmente da quei luoghi. Quei due sacerdoti accompagnavano l'allora arcivescovo di Rosa­rio, il cardinale Caggiano. In quegli stessi giorni, il dottor Puncernau, neuropsichiatra di Barcellona, che già prima aveva esaminato le veggenti, aveva ri­preso le proprie osservazioni sulle bambine... Il dottor Ortiz di Santander, che si trovava sul luogo, lo avvicinò e gli chiese: «Ebbene, caro amico, quali sono le sue conclusioni?» «Le bambine sono perfettamente normali, non ne ho il minimo dubbio. E’ chiaro che i fatti non possono essere attribuiti ad alcuna malattia psichica. È la terza volta che vengo qui per studiare il com­portamento delle veggenti; se avessi scoperto qualcosa di sospetto in loro, lo avrei detto». Durante le estasi, alle bambine si permetteva di rivolgere ogni tipo di domanda alla Vergine (dopo tutto, non si trattava di un incontro con la loro Madre?), ma il dialogo verteva sempre su que­stioni molto importanti. «Com'è il Cielo?... In Purgatorio, c'è il fuoco?... In Paradiso non si può entrare neanche con un piccolo peccato?... Costa molto per un peccatore convertirsi?... Pregherò molto perché vengano qui in molti e si convertano... E anche perché i buoni diventino migliori... Sai, mio fratello ha molto mal di stomaco, non Ti chiedo di guarirlo, ma soltanto di alleviare un po' il suo dolore» (Conchita, 25 settembre). «Vergine Santissima, fa' che non Ti abbandoni mai! Che Ti ami per tutta la vita. Oh! che mai, mai ti lasci... Che Ti ami sempre, sempre fino alla morte. Oh! Vergine Santissima, non abbandonarci» (Loli, la notte fra il 12 e il 13). Per Mari-Cruz le visioni e i dialoghi terminarono in quel mese di settembre. Il 18 sarebbe stato il giorno della sua ultima «comunicazione» con il Cielo attraverso il fenomeno straordinario dell'estasi. Erano già alcuni mesi che aveva poche apparizioni; ma a partire da quel giorno cessarono completamente. Perché? Soltanto il Cielo può dare una risposta. Si può solo ipo­tizzare una spiegazione Il mistero di Garabandal, nonostante una delle protagoniste fosse stata messa da parte e un'altra, Jacinta, avesse conosciuto lunghi periodi senza estasi, non era ancora al suo termine. Quanto ancora sarebbe durato il mistero? Quale ne sarebbe stato l'epilogo? «Estacion»: preghiera costituita da un certo numero di Padre Nostro e di Ave Maria recitati davanti al Santissimo Sacramento.

 

Capitolo ottavo

VERSO UNO STRANO EPILOGO

Garabandal e l'ultimo Concilio

Verso la fine di settembre ed i primi di ottobre del 1962, mai come prima si concretizzava il detto: «Tutte le strade conducono a Roma». In effetti, tutte le vie del mondo erano percorse da centinaia di Vescovi e dai loro consultori che accorrevano all'appello del suc­cessore di Pietro. Anche il Vescovo di Santander, mons. Eugenio Beitia Aldaza­bal, dovette partire. Ma prima di lasciare la diocesi, in una data importante come quella del 7 ottobre, festa della Beata Vergine del Rosario, pose la sua firma in calce a una Nota redatta dalla Commissione con la quale i fatti di Garabandal venivano nuova­mente squalificati e si stringeva il cerchio ufficiale d'incredulità e di ostilità verso di essi. Non si trattava di una «condanna» canonica, dal momento che nessun processo canonico e nessuno «studio» degno di questo no­me erano stati avviati; e neppure si erano verificate nuove situa­zioni che consigliassero un nuovo intervento della gerarchia. E al­lora? Forse, si voleva esprimere, una volta per tutte, un giudizio definitivo su fatti che, a Roma, avrebbero potuto suscitare domande imbarazzanti; e che, in quel momento, si scontravano fortemente con quello «spirito di secolarizzazione» che - in certi settori della Chiesa - aveva incominciato a prender fiato, sotto il pretesto del «cambiamento» di cui il Concilio avrebbe dovuto essere l'alfiere. Il fatto è che Garabandal, che si era presentato - e ciò appare più chiaro ogni giorno - in misteriosa e stretta relazione con quan­to avveniva a Roma (e ben presto nell'intera Chiesa), a partire da quelle date dell'ottobre '62, ricevette alla vigilia del grande evento conciliare quelli che molti speravano sarebbe stato il colpo di grazia. Le conseguenze di questa nuova Nota episcopale - la prima del nuovo Vescovo, mons. Beitia - non soddisfecero del tutto i mem­bri della Commissione, ma furono sufficienti a far scemare note­volmente l'afflusso dei visitatori. Sul retro di un'immaginetta man­data al parroco di Barro (Asturie) il 25 ottobre, Loli scriveva: «Ven­gono meno visitatori dal giorno della pubblicazione della Nota ve­scovile, ma tutti i giorni viene gente». Don Luis Lopez Retenaga, del seminario di San Sebastian (Gui­pùzcoa), annotava in un rapporto inviato due mesi dopo: «La No­ta del Vescovo di Santander ha seminato una strana confusione fra i molti testimoni oculari dei fenomeni, giunti alla conclusione che potessero essere stati causati solo da un intervento sopranna­turale». Va tenuto presente che in Spagna, a quell'epoca, la parola di un Vescovo era considerata praticamente infallibile; per la mag­gioranza della gente il Vescovo era l'incarnazione di tutta la Chie­sa, era la Chiesa stessa...; opinione eccessiva ma assai diffusa. Garabandal veniva dunque a trovarsi in una situazione di qua­rantena gravida di sospetti. Ma che importanza aveva tutto ciò? Tutte le luci erano ora puntate su Roma, dove, tra l'attesa e le rappresentanze del mondo intero, stava per iniziare il grande Evento Cattolico del secolo... Vale la pena ricordare ciò che accadde lassù, in quella piccola borgata dei monti cantabrici, la sera stessa del giorno in cui il Ve­scovo firmava quella Nota così severa. Si tenne una veglia del rosario in casa di Loli, in un'atmosfera d'intimità; e Maria Herrero de Gallardo, già a noi nota, chiese al­l'improvviso alla bimba: «Dimmi, Loli, quale Madonna vedi?» «Beh, c'è una sola Madonna, anche se la chiamiamo in modi di­versi: del Carmelo, del Pilar, del Rosario..» «D'accordo. Ma come è la Madonna che vedi tu?» La bambina fece ancora una volta la descrizione della Madonna che le appariva e concluse: «Soprattutto i suoi occhi sono immensamente belli. Non esiste nulla di simile sulla terra! Non sono paragonabili a niente e a nes­suno di quaggiù. Posso solo dire che sono bellissimi; non si può far altro che guardarli». Qualche ora più tardi, verso l'1 e 30 della notte, Loli cadde in ginocchio nella cucina di casa. «Il suo viso - dice Maria Herrero - era davvero trasfigurato; la testa rivolta verso l'alto, i capelli ri­cadevano sulle spalle in maniera molto graziosa; i suoi occhi guar­davano estasiati. .. » Ad un certo punto dell'estasi, la bambina come di consueto pre­sentò al bacio della Madonna gli oggetti portati dai visitatori. Tra questi c'era un piccolo messale che apparteneva alla signora Her­rero: questa si arrischiò a dire a Loli, terminata l'estasi: «Vista la rapidità con cui hai presentato le pagine del mio messale al bacio della Vergine, non è che le ha baciate troppo precipitosamente?» «Oh, no! Certo che no! La Santissima Vergine non lo ha fatto con precipitazione. Ella fa tutto in modo perfetto». Ottima lezione per tutti: fare ogni cosa grande o piccola con tutta la diligenza possibile, senza precipitazione né negligenza. A Garabandal, da parecchie settimane, si pregava per il Conci­lio: perché avesse un buon esito, per il bene della Chiesa e del mon­do. Durante una veglia di preghiera per quest'intenzione (28 set­tembre), ci fu persino un'omelia di un Passionista in visita, Padre Eliseo di Barcellona. L'avvocato Luis Navas, che si trovava lì, scrisse in seguito nelle sue memorie: «In quel momento non invidiavo per nulla chi era stato in luoghi rinomati come Lourdes o Fatima... Avevo lì la sensazione di trovarmi sotto l'influenza più diretta, im­mediata e materna della Vergine». Per molte persone che condividevano gli stessi sentimenti, era difficile accettare che, senza mai addurre una sola prova, la Com­missione si ostinasse nel sostenere che i fatti di Garabandal non avevano alcun segno di soprannaturalità, e che tutto poteva avere una spiegazione naturale. L'inaugurazione solenne del Concilio era annunciata per l'11 ot­tobre, festa - allora - della Maternità di Maria. Non so se la notte precedente Papa Giovanni XXIII avesse dor­mito molto, lui che aveva convocato quel gran raduno ecumenico in cui aveva riposto tanti sogni e tante speranze... A Garabandal quella notte ci fu una veglia. «Passai l'intera veglia a casa di Conchita - scrive il parroco di Barro, Don José Ramon de la Riva. - In quello stesso giorno, 10 ottobre, era stata pubblicata sulla stampa la Nota del Vescovo. Io ero accorso questa volta a Garabandal con l'ambasciatore di Spagna in Arabia Saudita: Alberto Mestas, mio parrocchiano. Per occupare la lunga veglia facevamo il gioco delle domande... e Conchita improvvisò questa: "Vediamo, chi indovina a che ora verrà la Madonna?" Ciascuno disse un'ora: ma le ore passavano e non accadeva nulla. I presenti si addormentarono (qualcuno si allontanò). Io mi impegnai a restare sveglio per avvertirli quando si sareb­be verificata l'estasi. In verità quella notte non riuscivo a prende­re sonno ed ero persuaso che non ci sarebbero state estasi fino alle 8 del mattino, ora annunciata per la cerimonia d'apertura del Con­cilio, e così lo dissi subito a tutti. Quando la radiolina a transistor di Conchita, che era accesa, co­minciò a trasmettere la cronaca della cerimonia solenne, guardai verso la bambina e mi resi conto che era appena entrata in estasi». Sappiamo che la piccola parlò con la Vergine del grande avveni­mento. Le pose anche delle domande e ne ricevette delle rispo­ste... Ma non è stato possibile conoscere con esatta certezza le co­municazioni che fece allora il Cielo: il Concilio doveva d'altronde rivelarsi molto complesso, sia nello svolgimento, che nelle sue de­cisioni e conclusioni. Nel corso di quell'estasi, fu posta la domanda che tutti si atten­devano. - Perché il Vescovo ha pubblicato quella Nota? Molte persone captarono questa domanda; ed è logico che tutti tentassero poi di soddisfare la loro curiosità. - E cosa ti ha risposto la Madonna? - La Madonna non ha detto niente, si è limitata a sorridere. I motivi di quel sorriso furono forse le pretese degli uni e i ti­mori degli altri. Pretese di coloro che pensavano di poter spegnere con quella Nota la fiamma di Garabandal; timori di coloro che sof­frivano al pensiero che quella stessa fiamma potesse veramente estin­guersi. Quanto devono aver fatto sorridere il Signore, a volte con indulgenza e a volte no, i nostri problemi. «Perché questo agitarsi delle nazioni? Questa vana cospirazio­ne dei popoli? Colui che regna nei cieli li schernirà deridendoli…» (Sal 2, 1-4). È anche possibile che la Madonna sorridesse, in quell'occasio­ne, contemplando l'avvenire di Garabandal, a dispetto di tutte le Note e di ogni genere di opposizione... l'inaugurazione del Concilio.

Il miracolo si profila...

I familiari delle veggenti, gli abitanti del villaggio, i forestieri che accorrevano da lontano cominciavano a provare una certa spos­satezza di fronte a fatti straordinari in sé, ma che non sembravano avere una conclusione chiara e definitiva. Non si smetteva di esigere dalle veggenti un miracolo, veloce e convincente. Anch'esse furono assalite da questa esigente impazienza; chie­devano un miracolo in ciascuna delle loro estasi; alla fine di otto­bre cominciarono ad annunciarlo come sicuro in una data prossima. Poco dopo si parlò anche di due miracoli, annunciati uno da Con­chita, l'altro da Loli e Jacinta; quest'ultimo sarebbe dovuto acca­dere per primo. Quello di Conchita sembrava più lontano, ma più «serio», più sicuro. Fu oggetto di nuove comunicazioni, alcune molto precise, nella notte fra il 24 e il 25 novembre. Placido Ruiloba di Santan­der, che assisteva all'estasi di Conchita, ne raccolse alcune su un magnetofono. Confermate e completate in seguito dalla bambina stessa, possono essere così classificate: - il miracolo si produrrà alle 20 e 30, cioè alla stessa ora della prima apparizione (18 giugno 1961); - durerà circa un quarto d'ora; - si vedrà alto nel cielo e così chiaramente che non si potranno avere dubbi sul suo carattere divino; - i malati venuti con fede saranno guariti. Il dottor Ortiz, pure presente a quest'estasi, testimonia: «Do­po l'estasi la bambina appariva raggiante... Insistemmo perché ci rivelasse la data del miracolo, ma lei ci rispose che il momento non era ancora arrivato, di aver pazienza; che solo lei poteva rivelare la data otto giorni prima che si verificasse, ma che il miracolo sa­rebbe sicuramente venuto, perché la Madonna l'aveva promesso e la Madonna non può mentire». In quell'autunno del 1962, Garabandal viveva nel desiderio ar­dente, nella quasi-necessità di un miracolo. Ma il Cielo non interveniva solo per non deludere delle aspetta­tive, per quanto giustificate fossero. Cercava soprattutto di invi­tarci a vivere sempre più profondamente la nostra fede cristiana. In novembre, non poteva mancare l'attenzione verso coloro che «ci hanno preceduti nel segno della Fede e che dormono nel sonno della Pace». Le ragazze, nelle loro estasi, furono frequentemente condotte al cimitero per recitare, con i loro accompagnatori, le preghiere dei defunti. Su questi fatti abbiamo un bellissimo resoconto in una lettera di Maximina, del 6 novembre, indirizzata alla famiglia Or­tiz di Santander: «A riguardo delle apparizioni, posso dirvi che tutto continua come prima. Adesso, il rosario è sovente cantato per le vie del villaggio. Conchita si reca spesso al cimitero e l'altro giorno ci è andata con lei Maria-Dolores. Camminavano per le strade del paese cantando il rosario e ci portarono al cimitero. Lì, smisero di cantare e si mi­sero a pregare con grande devozione. Mai nessuna di loro, duran­te le estasi, era entrata nel cimitero, ma quel giorno Conchita aprì la porta ed entrammo. Non potete immaginare il grande rispetto che ella ispirò a tutti! Andarono dapprima sulla tomba del padre di Conchita: si ingi­nocchiarono con grande devozione e appoggiarono la croce (il cro­cifisso che portavano tra le mani) a terra, poi l'alzarono offrendola da baciare alla Madonna. Sia l'una che l'altra facevano gli stessi gesti, naturalmente senza guardarsi, con gli occhi fissi rivolti al Cie­lo. Andarono poi sulla tomba di mio marito e anche lì si inginoc­chiarono: io ero molto emozionata. Da lì, vennero verso di me e mi diedero il crocifisso da baciare, lasciando che lo facessi a lun­go. Andarono infine su un'altra tomba, quella di mia madre. Co­me potevano riconoscere le tombe senza guardarle?» Nonostante Maximina termini questo racconto epistolare con questa frase: «Noi non sappiamo cosa significhi tutto ciò», mi sem­bra si possa cogliere questo episodio alla luce della dottrina della Chiesa sulla comunione fra i morti e i vivi (Comunione dei Santi). La Madonna si mostrava a Garabandal in qualità di Madre, Ma­dre di coloro che sono ancora quaggiù, Madre di coloro che se ne sono già andati. Madre per le cose importanti, ma anche per quelle più ordina­rie: come testimonia il seguente fatto. Accadde in una notte di questo stesso novembre, una notte par­ticolarmente ventosa. In casa di Ceferino si svolgeva una veglia in attesa dell'estasi di Loli. Verso le 3 del mattino, il vento rad­doppiò la violenza come premonizione di un temporale. Julia, la madre, chiese a sua figlia di andare a raccogliere dei panni stesi fuori. Loli si alzò e si apprestò ad obbedire: anche se si notava che le costava molto. Stava già andando verso la porta, con una lan­terna in mano, quando cadde in ginocchio in estasi, facendosi più volte il segno con la croce; si rialzò subito ed uscì. Poco dopo, la si vide tornare, sempre in estasi, con la biancheria fra le braccia. Cosa era successo? La bambina lo spiegò poi: le costava molto ob­bedire a sua madre perché aveva paura di uscire da sola a quell'ora e con quel tempo. La Madonna, vedendo la sua buona volontà, ma anche la sua paura, era venuta per accompagnarla, maternamente. In quei giorni di novembre, alcuni francesi in visita per la pri­ma volta a Garabandal poterono contemplare alcune estasi delle bambine. Il più interessato fu Padre Materne Laffineur, speciali­sta in questo genere di fenomeni. Le testimonianze di ciò che vi­dero e provarono allora sono riportate nel libro L 'Étoile dans la Montagne. Tornarono, naturalmente. Ed è a loro che dobbiamo in gran parte la diffusione dei fatti di Garabandal all'estero. Vi hanno lavorato molto e bene. Possiamo legittimamente pensare che il loro arrivo sul luogo delle nuove apparizioni del 1962 entrasse nei piani della Divina Provvidenza, come elemento decisivo per farle conoscere. Ci hanno lasciato una preziosa testimonianza di ciò che erano allora le notti di Garabandal. «Quando, per via delle "chiamate", si aspettava la visita della Madonna, né le ragazze, né i genitori andavano a dormire. Così abbiamo passate molte di quelle veglie a casa di Conchita, con sua madre Aniceta, suo fratello maggiore Serafin e qualche visitato­re... Chi sarebbe in grado di rendere l'incanto di simili momenti? Erano veramente uniche quelle notti di attesa. Passavamo il tem­po in preghiera, cantando e commentando l'inesauribile bontà della Madonna, e ciascuno portava le sue più intime e indimenticabili esperienze». Ma è comprensibile che simili notti di veglia, specialmente per quelli che le avevano vissute più e più volte, da tempo, non erano sempre un... «incanto»! Il 22 novembre Maximina scriveva a Eloisa de la Roza Velarde, cognata del dottor Ortiz: «Sabato siamo saliti ai Pini recitando il rosario, pioveva senza sosta. Poi siamo andati fino al cimitero, dove siamo sprofondati nel fango fino alle orecchie. La domenica, idem, siamo saliti ai Pi­ni sotto la neve, con la gente incurante delle intemperie. In seguito, le bambine sono scese a ritroso, in ginocchio, sulla neve e passando per i punti più difficili. Poi siamo andati di nuovo al cimitero sotto la grandine e con un vento violentissimo. Il martedì, stessa cosa; il mercoledì, la notte era migliore, ma ancora decisamente glaciale». Il dottor Ortiz mi riferì un giorno quello che gli aveva racconta­to la figlia di Tiva: «La notte del 1 dicembre soffrivo di violento mal di denti, al punto che dovetti mettermi a letto. Verso le 3 del mattino sentii del trambusto in casa di Jacinta, mi affacciai alla finestra e vidi la bambina uscire in estasi, nonostante la notte in­fernale per il freddo e la pioggia. Mi fece pena e scesi per accom­pagnarla. Nel momento in cui stavo per raggiungerla, si aprì la porta di casa sua e sua madre Maria uscì di cattivissimo umore dicendo: "Quello che mi fai fare oggi, non lo rifarò più: la prossima volta, barricherò solidamente la porta". Per strada, incontrammo Maria-Dolores ugualmente in estasi e sola. Andai ad avvertire sua madre Julia, e poco dopo camminava­mo insieme, le due bambine davanti e noi tre dietro. Ci fecero sa­lire due volte ai Pini recitando il rosario, e, come al solito, percor­remmo il paese. La notte era veramente inclemente, e il malumore di Maria non cessava. Julia tentava di calmarla: "Cosa possiamo farci? Sono le cose di Dio. Oggi devo consolarti io, mentre altre volte eri tu a confortare me ». Le veglie di Garabandal avevano molto fascino, ma spronavano innanzi tutto alla penitenza. Era inevitabile che talvolta si facesse sentire la fatica. Luis Navas Carrillo sentì una volta Conchita in estasi dire: «Perché non mi hai lasciato cenare? Prima non mi facevi dormire, adesso non mi lasci mangiare. In Cielo chiaramente non si ha bisogno di mangiare, vedendo Dio!... Ma io, siccome non vedo Dio, ho bisogno di mangiare». Era lo sfogo molto spontaneo di una fi­glia nei confronti di una Madre, seppur diversa da tutte le altre. Possiamo immaginare ciò che stavano passando le persone che non avevano la fortuna delle veggenti... nel corso di quelle veglie lunghe e ripetute. Tutti questi fedeli nutrivano la speranza di un finale prossimo e prodigioso: il miracolo. Con la speranza del miracolo avevano la forza di sopportare, pen­sando all'epilogo... Nessuno avrebbe immaginato che tutto ciò po­tesse continuare indefinitamente. Il tema del miracolo riempiva le conversazioni di Garabandal nelle ultime settimane dell'anno. Si aggiunsero altre riflessioni in proposito, per esempio: «Poco prima del miracolo, molte persone avranno smesso di cre­dere, ma questo non perché esso tarda a venire... » «Il giorno in cui si verificherà il miracolo, sparirà il foglio fir­mato da Conchita a Santander quando la portarono laggiù per estor­cerle quelle confessioni strane, nel luglio del 1961». Entrambe queste precisazioni furono raccolte dalla bocca di Con­chita dopo un'estasi che si verificò di primo mattino il 6 dicembre. Due giorni più tardi, festa dell'Immacolata Concezione, la bam­bina festeggiava il suo onomastico e all'alba ebbe il favore di un'ap­parizione della Madre del Cielo. Si poté registrare su un magneto­fono una parte di quello che la bambina diceva: alcuni discorsi so­no di un sorprendente infantilismo; se consideriamo che aveva già 13 anni compiuti... Ma ci sono altri particolari: «Ho proprio voglia che venga quel giorno... sai perché ne ho tanta voglia? La gente non crede...! Ah! E dopo, quando ci sarà l'avvenimento del miracolo,... più nessuno cre­derà?... Basterà una settimana?... Quando Ti vedrà la gente?» Pochi giorni più tardi, assicurava a Mercedes Salisachs che un giovane paralizzato, di cui quella donna si prendeva cura, sarebbe guarito il giorno del miracolo «ovunque si trovasse».

Una divisione inattesa

Durante le ultime settimane del 1962, incominciarono una se­rie di crisi che sarebbero scoppiate apertamente nel corso dei pri­mi mesi dell'anno seguente. Il 28 dicembre Maximina, in una lettera a Eloisa de la Roza Ve­larde, dopo aver lamentato l'assenza del sacerdote per Natale, dà così il quadro della situazione: «Le apparizioni continuano come sempre; ma per ciò che riguarda il miracolo, non abbiamo saputo più niente». Racconta poi l'emo­zione di due asturiani (che alloggiavano in casa sua) in seguito a una prova ricevuta attraverso le bambine e aggiunge: «A noi che viviamo qui non fa più sensazione niente, perché siamo abituati a tutto. Speriamo di vedere qualcosa di più importante, ma... non so quando lo vedremo. Non mi sembra che mentano in merito al miracolo. Quello di Loli e di Jacinta dovrebbe aver luogo quest'an­no, da quello che abbiamo capito, ma quest'anno sta per finire... La cosa più importante è che avvenga, ma temiamo che non suc­cederà, né quest'anno, né mai... » E’ evidente che alla fine del 1962 l'annuncio e l'attesa di due miracoli occupava le menti di Garabandal. Da un lato «quello di Conchita» che sembrava dovesse essere più importante, il defini­tivo; quanto all'altro, Padre Luis Lopez Retenaga, della diocesi di San Sebastian, che era salito di nuovo con il permesso episcopale a Garabandal nel febbraio del 1963, informava così il suo Vesco­vo degli avvenimenti: «È la quarta volta che faccio visita a questa borgata montana. All'epoca della mia precedente venuta alla fine dello scorso anno, avevo raccolto voci circa la realizzazione, quasi imminente, di un miracolo annunciato da Loli e Jacinta; ma non mi fu possibile, al­lora, verificare l'autenticità di tali voci. Ma so che all'inizio del mese di gennaio, poiché il miracolo annunciato dalle due bambine non si è realizzato, le illusioni di molti sono svanite. Tanto i fami­liari come la maggior parte del paese si sono sentiti defraudati e umiliati, e quella gente ha tramutato l'ammirazione verso le due bambine in un atteggiamento di ripulsa e diffidenza, facendole og­getto di continue mormorazioni. Conchita è il bersaglio preferito di questi rimbrotti, poiché è sempre stata considerata come la re­sponsabile o la più colpevole di tutti gli eventi». Ci troviamo qui di fronte ad uno degli episodi più impenetrabi­li e tuttora meno chiariti di Garabandal. Non l'ho rifuggito, ho cercato di fare un po' di luce con le poche informazioni che avevo fra mani. Fu così che scoppiò la crisi del 1963 che può essere considerata come un primo epilogo di Garabandal. Conchita scrisse nel suo diario: «A noi quattro, Loli, Jacinta, Mari-Cruz ed io, fin dall'inizio la Madonna aveva predetto che ci saremmo contraddette le une con le altre, che i nostri genitori non sarebbero più stati dalla nostra parte e che saremmo arrivate per­sino a negare di aver visto la Vergine e l'Angelo. La Madonna ci ave­va stupito molto quando ci disse queste cose. E nel gennaio 1963 tutte queste profezie della Madonna si sono realizzate, perché siamo arrivate a contraddirci le une con le altre e abbiamo negato di aver visto la Madonna. Incluso un giorno in cui l'abbiamo persino detto in confessione. Ma dentro di noi eravamo si­cure che la Madonna e l'Angelo ci erano apparsi, poiché... » Le bambine stesse non comprendono quello che accade loro e restano sorprese di ciò che dicono e fanno, e tutto questo contro il loro sentimento interiore. Si direbbe che una forza strana e mi­steriosa le sospinga a comportarsi in questo modo. La Madre del Cielo, che comprende bene cosa succede loro, riap­pare dopo qualche giorno, piena di bontà. Tuttavia il processo di crisi si era ormai scatenato. «Il padre di Loli, Ceferino, chiese che venisse una commissione di medici. Si chia­mavano: Alejandro Gasca, Félix Gallego e Celestino Ortiz. La stessa notte del loro arrivo, cominciarono con un interrogatorio a Mari-Cruz, a Jacinta,a Loli e anche ai loro genitori, chiedendo perché negassero di aver visto la Madonna. Non so cosa risposero. Io so solo che dissero che ero stata io a in­ventare il miracolo dell'Ostia e lo raccontarono a modo loro. Ovvia­mente in questi momenti non si sa sempre ciò che si dice, e loro si lasciarono dominare dal demonio. A partire da quel giorno non ebbe­ro più apparizioni. Io sì, quella stessa notte e fino al 20 gennaio. Da allora non ho più rivisto la Madonna» (diario di Conchita). Fine dolorosa e veramente inattesa. Per Mari-Cruz tutto si era concluso nel settembre precedente. Per Jacinta e Loli si concluse in quel mese di gennaio 1963. Lo sappiamo da una lettera del 16 che Maximina scrisse al dottor Or­tiz: «Adesso è al corrente degli avvenimenti... Conchita è la sola che continui a vedere la Madonna, se è vero che la vede» (persino la stessa Maximina nutre dei dubbi). «Le altre negano di averla vista. Così lei stesso può giudicare il risultato! » Anche noi possiamo renderci conto delle conseguenze di un epi­logo così sconcertante. Riferisce ancora quella stessa lettera del 16: «C'è qui un gruppo di donne che godono per il fatto che questo affare delle apparizioni non sia vero; lei sa bene che c'è molta in­vidia. C'è anche un altro gruppo che ci crede più di prima. Io dico che Conchita, che è mia nipote, non mente. Ma credo molto poco al­l'Apparizione. Mio Dio! Non le sembra che se tutto questo non do­vesse essere vero, potrebbe essere per moltissimi una causa di perdi­zione? Può già immaginare la quantità di storie che circolano qui». Così dunque, nel gennaio 1963, abbiamo, come si è detto, il pri­mo epilogo di Garabandal. Anche se Conchita avrà posteriormente qualche altra apparizione, sarà tutto diverso rispetto al passato in cui, per un anno e mezzo, quel piccolo angolo appartato della monta­gna divenne luogo di incontri e scambi quotidiani tra il Cielo e la Terra: mai nella lunga storia della Chiesa si erano viste simili cose.

 

Capitolo nono

GLI ULTIMI TRE ANNI

1963: un anno di sospensione

Era duro ammettere che la vicenda di Garabandal fosse conclu­sa: veramente e per sempre. Un esito di quel genere non sembrava propriamente materno... come Conchita scriveva in una lettera di febbraio alla signora Gallardo: «E’ già da un po' di tempo che non vediamo più la Madonna... E non so quando tornerà, poiché non si è congedata da noi e non ci ha detto niente... » Sembrava più logico pensare a un'interruzione più che a un ta­glio definitivo. All'improvviso, un nuovo fenomeno mistico venne a sostituirsi a quello delle visioni e delle estasi: il fenomeno delle «locuzioni». Le ondate di disappunto che scossero Garabandal in quel gen­naio ‘63 si erano rivolte anche contro Conchita, che, delle quattro ragazzine, sembrava la più convinta non solo degli eventi passati ma anche sulla realizzazione di quelli annunciati. E subito... Ma ascoltiamo Conchita: «Anch 'io ho dubitato un poco sull'e­vento di un miracolo. Un giorno, mentre ero in camera mia in preda al dubbio... sentii una voce che mi diceva: "Conchita, non dubitare; mio Figlio farà un miracolo". La sentii dentro di me, ma talmente chiara che era come se l'avessi sentita con l'udito. Eppure era un linguaggio senza parole. Mi lasciò in uno stato di gran pace... in una gioia più grande ancora di quando vedevo la Madonna. Il primo a cui l'ho detto è stato Placido Ruiloba di Santander; poi lui l'ha riferito ad altri» (diario di Conchita). Il sacerdote già più volte citato, Don Luis Lopez Retenaga, pro­fessore di teologia al seminario di San Sebastian (Guipizcoa), scri­veva nel suo terzo resoconto al Vescovo di Santander: «Mentre ero per strada verso Garabandal, dove mi stavo recando per aiuta­re il parroco durante la Settimana Santa (dal 7 al 14 aprile), venni a conoscenza di certe voci riguardanti nuovi fenomeni che inte­ressavano Conchita e Loli. Esse stesse, durante la Settimana Santa, mi parlarono molte volte di' “visioni interne” che sembravano avere. Potei esaminare sepa­ratamente l'una e l'altra e giunsi alla conclusione che si trattasse di "locuzioni" Conchita disse che questo nuovo fenomeno le era già capitato altre volte. Sembra che sia cominciato a marzo, nel periodo in cui soffriva penosamente per la lunga assenza della Madonna, iniziata a gennaio, e per i dubbi manifestati da così tante persone... Un giorno, stando inginocchiata a casa sua in preda a queste angosce, udì la Madonna che le diceva: "Non dubitare; mio Figlio farà un miracolo" La sua certezza al riguardo, da allora, è evidente dalla grande pace di cui gode. Nella stessa occasione mi conferma: "Odo, senza percepire voce", altre cose, per il bene della sua anima e quella di altri... ». La prima «locuzione» di cui Conchita parla nel diario si manife­stò a marzo, all'inizio della Quaresima; trascorse un mese prima che ne avvenisse una seconda: «I giorni passavano e lei (la Madon­na) non tornava a parlarmi! Mi faceva soffrire, ma la comprendevo: come aveva potuto Dio accordarmi una felicità così grande, senza che me la meritassi? Ma in capo a un mese ho sentito di nuovo quella voce di felicità interiore, senza parole, in chiesa» (diario di Conchi­ta). L'adolescente, con i suoi 14 anni appena compiuti, era diventa­ta una ragazza molto sveglia; è importante constatare che viveva in quei mesi un periodo di fervore speciale. In una lettera di sua zia Maximina, datata 11 febbraio, si legge: «Quando Conchita non deve andare nei campi, passa praticamente tutta la giornata in chie­sa. Al mattino va a recitare il rosario, e alcune donne si aggregano a lei. Al pomeriggio, vi passa la maggior parte del suo tempo, sen­za mai annoiarsi». Questo non significa che la ragazza fosse di­ventata matta o che si fosse chiusa in sé. La stessa Maximina le chiese un giorno: «Cosa ti piace di più, divertirti o stare in chie­sa?» Sempre pronta a scherzare, la ragazza rispose: «Mi piacciono molto tutte e due le cose». Se queste erano le sue disposizioni spirituali immediatamente prima delle «locuzioni», possiamo immaginare cosa sarebbero diventate dopo. Conchita sembra farvi allusione quando scrive: «Que­ste locuzioni mi hanno fatto molto molto bene. Preferisco le locuzio­ni alle apparizioni perché, nelle locuzioni, mi sembra di avere la Ma­donna dentro di me». Sono quasi le ultime righe del suo diario in­compiuto. Passò un mese tra la prima e la seconda locuzione, e quello spa­zio di tempo sembrava dover diventare l'intervallo abituale. In una lettera del 7 luglio, Maximina scrisse alla famiglia Pifarré di Bar­cellona: «Non so se vi ho già detto che Conchita e Loli ora hanno delle "locuzioni"; e come se la Madonna parlasse loro senza che esse La vedano. Mi dicono che nel corso di queste "locuzioni" pro­vano una gioia immensa. Mi pare che le abbiano una volta al me­se... » E verso la fine dell'anno, il 28 novembre, la stessa Conchita scriveva a Maria Herrero de Gallardo: «Mi chiedi di parlarti della Vergine... Cosa posso dirti se ora non La vedo più? Io Le parlo (o meglio Lei mi parla) solo una volta al mese. Questo mese però non ho ancora parlato con Lei: domani o dopo domani mi parlerà». E Maria scrisse qualche tempo dopo sulla pagina manoscritta della bambina: «Il giorno successivo, 29 novembre, ebbe la locuzione che aspettava». Conchita dichiarò che le locuzioni si producevano sempre quando era in preghiera, sia a casa sua, sia in chiesa. Loli affermò la stessa cosa. Una risposta interessante fu data dalle due bambine alla domanda posta da Don L0pez Retenaga: «Cosa scegliereste tra un'appari­zione, una comunione o una locuzione»? « La comunione! » risposero contemporaneamente. « Si cerchi di cogliere - notò il sacerdote - il valore di quella ri­sposta. Lo stato di felicità e di gioia che portavano le apparizioni e le locuzioni contrastava con l'aridità e la rigidità delle loro co­munioni. Sì, soltanto una grande fede poteva portare queste gio­vinette, senza formazione speciale, a formulare una risposta così giusta». Nelle locuzioni, intervennero dapprima la Madonna, poi in se­guito, anche il Signore. Quelle della Madonna erano improntate ad un affettuoso atteg­giamento materno. Quelle del Signore... ascoltiamo Conchita: «Le apparizioni e locuzioni della Madonna mi riempivano di felicità; ma le locuzioni di Gesù erano ancora migliori. Non so, si trattava di qual­cosa di diverso, di superiore. Il Signore era molto serio e, quando mi parlava, sembrava preoccupato per tutti; la Vergine, al contrario, sem­brava preoccuparsi specialmente per me» (dai suoi colloqui con Ma­dre Maria Nievas, al collegio di Burgos, il 9 e il 16 novembre 1966). Durante una locuzione che ebbe dopo essersi comunicata, il 10 luglio 1963, il Signore disse che il miracolo sarebbe venuto per con­vertire tutto il mondo (e non soltanto la Russia, benché questa fosse specialmente designata...). In questa o in un'altra locuzione, il Signore le parlò dei sacer­doti: «Bisogna pregare molto per loro: perché siano santi e com­piano bene il loro dovere; perché rendano gli altri migliori; che Mi facciano conoscere a coloro che non Mi conoscono; che Mi fac­ciano amare da coloro che Mi conoscono ma non Mi amano». Anche a Loli, nel corso delle locuzioni da cui era favorita, fu chiesta la stessa cosa. In una lettera indirizzata a Padre Retenaga, datata 13 ottobre di quell'anno, troviamo queste preziose confi­denze: «La Vergine mi fa capire quando un sacerdote è in stato di pec­cato, perché io possa pregare e fare dei sacrifici per lui... In una locuzione durante la quale parlavo con la Madonna, Le chiesi di darmi una croce affinché io soffrissi per tutti i sacerdoti. Ella mi comandò di compiere tutto con pazienza e di essere molto umile, ché quello è più gradito a Dio... Aggiunse anche: "Prega per i sacerdoti, ce ne sono che hanno bisogno ogni giorno di maggiori sacrifici... In un'altra occasione, Le chiesi: "Perché i miei genitori non cre­dono?" Ed Ella mi rispose: "Perché tu devi soffrire, sì, devi sof­frire molto in questo mondo". "E quali sacrifici devo fare?""Devi essere più ubbidiente"».

«Restano solo tre Papi»

Il 3 giugno una grande notizia si sparse velocemente in ogni parte del mondo: «E morto il Papa». Tale notizia suscitò una viva emo­zione, poiché papa Giovanni XXIII aveva acquisito grande popo­larità. Anche le campane dell'umile chiesa di San Sebastian de Gara­bandal suonarono a morto per lui... Fu allora che, apertamente, Conchita disse a sua madre, e lo ri­petè poi ad altre persone: «Ora restano solo tre papi». - Ma come fai saperlo? - Me l'ha detto la Madonna. - Allora sta per venire la fine del mondo? - La Madonna non ha parlato di «fine del mondo», ma di «fine dei tempi». - E che differenza c'è? - Questo non lo so; so solo che mi ha detto che dopo questo papa ce ne saranno solo altri tre: poi giungerà la «fine dei tempi». E’ possibile che la Vergine abbia parlato di questo argomento in diverse occasioni. Sappiamo con certezza che ne parlò il matti­no del 20 dicembre 1962 durante un'estasi di Conchita. Lo sap­piamo con assoluta certezza dalle precise annotazioni che scris­se allora un testimone di riguardo, il signor Francisco Clapes Magmo, di Barcellona. Ne ho avuto conferma da una lettera che Maximina scrisse il giorno stesso alla famiglia Pifarré, nella qua­le si legge: «Oggi Conchita ha detto che ci saranno solo più tre papi... » L'asserzione della Vergine venne come una rettifica a una do­manda fatta dalla ragazza a proposito di qualcosa che aveva udito ma non capito bene: «Dice Mercedes (la scrittrice Mercedes Sali­sachs, lì presente) che secondo le profezie di San Malachia sui pa­pi, ne restano solo due». La Vergine rispose che ci sarebbero stati ancora tre papi e non due; dopo di che, sarebbe giunta la «fine dei tempi». Questo annuncio profetico non è mai stato smentito da Con­chita nemmeno una volta; al contrario, l'ha ripetuto, per iscritto e oralmente, ogni volta che è stato necessario. Non è possibile pensare, vista la sua precisione compromettente, che questa di­chiarazione possa essere frutto di delirio, o un inganno della ra­gazza. Così come la ragazza ha sempre detto di non aver mai udito che, dopo i tre pontefici successivi a papa Giovanni XXIII, sarebbe venuta la fine del mondo, bensì la «fine dei tempi»; e che lei igno­ra quale differenza può esserci fra l'una e l'altra cosa. Chiarire questa differenza non è facile, sebbene a me pare di comprenderla meglio ogni giorno che passa. A Garabandal, fin dal 1963, siamo stati dunque avvertiti con chiarezza: stiamo per giungere a ore decisive, forse le ultime che l'orologio della storia segnerà... Ma al limite di queste ore, ci sarà data ancora una grande e me­ravigliosa occasione di salvezza.

Il miracolo

L'anno 1963 viene a confermare e precisare ulteriormente la pro­fezia. Si precisano nuovi dettagli. Don Luis Lopez Retenaga, redigendo il suo secondo resoconto sugli eventi di Garabandal nell'aprile del 1963, riassume così ciò che ha raccolto in merito: «Conchita afferma: - Che è a conoscenza del miracolo sin dall'ottobre 1961. - Che la Madonna dapprima lo ha comunicato a lei sola. E che lei stessa in seguito ne ha informato le altre ragazze. - Che sarà di giovedì (giorno eucaristico) alle 8 e 30 di sera, e che durerà circa un quarto d'ora. - Che quel giorno si verificherà un avvenimento nella Chiesa: il miracolo verrà in seguito, in quello stesso giorno. - Che lei stessa annuncerà la data del miracolo otto giorni prima. - Che, oltre a coloro che si troveranno nel paese o nei dintorni, il Papa vedrà il miracolo dal luogo in cui si troverà e così Padre Pio. La Madonna non ha precisato quale Papa. - Che i malati presenti saranno guariti, ivi compresi i peccatori, poiché secondo la Madonna "sono anch'essi suoi figli"».

L'ultima apparizione dell'anno

Il 1963 si conclude a Garabandal con una nuova visita della Ma­dre del Cielo a Conchita, nel giorno del suo onomastico, l'8 di­cembre. Erano le 5 e 30 del mattino. Il silenzio e l'oscurità avvolgevano il villaggio addormentato; faceva freddo; nessuno si muoveva e non si sentiva alcun rumore. Conchita e sua madre si trovavano davanti alle porte chiuse della chiesa; all'improvviso, l'adolescente cadde in ginocchio: era comin­ciata l'estasi. Aniceta vide che sua figlia dialogava, ma non le era possibile cogliere il dialogo. Più tardi soltanto se ne conoscerà una parte da un resoconto della veggente: «La Vergine mi ha innanzitutto augurato "buon onoma­stico" e poi mi ha detto: "Tu non sarai molto felice sulla terra, ma lo sarai in Cielo". Poi mi disse molte cose... mi parlò degli eventi futuri... Ma mi ingiunse di non rivelare nulla... » Così, tra crisi, annunci, misteri e speranze, passò questo scon­certante anno 1963, secondo del Concilio Vaticano Il, terzo degli eventi di Garabandal. In quell'epoca, molti dei fatti non potevano essere capiti. Tut­tavia, l'ultima dichiarazione fatta a Conchita resta chiara e valida per ciascuno di noi: ricercare la felicità sulla terra, qui e adesso... «hic et nunc», significa inseguire un sogno utopistico.

1964: altro anno di interruzione

Le veggenti continuarono a non avere altre apparizioni. In com­penso, Conchita e Loli ebbero ancora delle «locuzioni», sebbene molto rare. Con questo singolare favore dal Cielo le ragazze acquisirono una notevole maturità spirituale. Il 4 febbraio, Maximina scriveva alla famiglia Pifarré: «Io non nutro più alcun dubbio su quello che accade qui, perché sento Con­chita dire cose alle quali non so cosa rispondere e non mi azzardo a proseguire nella conversazione. L'altro giorno, per esempio, dis­se che la sola croce che aveva era di non amare sufficientemente Gesù; il resto, per quanto impellente potesse sembrare, non im­portava nulla». E di nuovo, in una lettera del 23 marzo: «Conchita è molto fer­vente; oggi mi ha detto che si augura di entrare in convento e che, se potesse, le piacerebbe andare anche adesso. E se vedessi com'è bella! Ma sembra che il mondo non la attiri; certo, come è natura­le, le piace anche divertirsi, ma sempre con i bambini più piccoli, con la mia piccina e altri della stessa età». Frattanto il clima fra gli abitanti non migliorava; il paese mi­gliorava solo negli aspetti materiali. I testimoni francesi che hanno scritto il libro L 'Etoile dans la Montagne confermano queste impres­sioni: «Le famiglie cominciavano a esprimere un'invidia mal dissi­mulata; e a proposito delle apparizioni non regnava l'unanimità... Non pochi vacillavano per il protrarsi dell'attesa del famoso mi­racolo. Uomini e donne che avevano seguito instancabilmente le quattro veggenti in estasi si mostravano ora incapaci (eccetto al­cuni anziani silenziosi e un certo numero di anime più ferme) di attenersi a quello che molte volte avevano visto, udito e toccato. Una popolazione con un appetito disordinato di fenomeni miraco­losi stava cadendo ora in una cecità spirituale e in una specie di indurimento tali da suscitare stupore nei forestieri che proveniva­no da fuori... » Furono questi stessi visitatori che mantennero accesa la fiam­ma di Garabandal. Sapevano infatti che in quel luogo erano suc­cesse molte cose, serie ed importanti, che non potevano essere va­nificate da una semplice mancanza di continuità. Che cosa speravano? Cosa cercavano ancora? Oltre ad incontri personali con il soprannaturale, attendevano il «logico» epilogo a quelle manifestazioni che avevano suscitato tante speranze e che si erano così stranamente e repentinamente interrotte. Il coraggio e la speranza tornarono con l'annuncio che Conchi­ta aveva avuto di nuovo una visita della Madre del Cielo, l'8 di­cembre, giorno del suo onomastico: e quello che le era stato detto allora era di interesse vitale. La bambina ne parlò a diverse persone e lo mise anche per iscritto: «Il giorno dell'Immacolata Concezione, la Vergine mi ha fatto gli au­guri per il mio onomastico, e mi ha detto che il 18 giugno vedrò di nuovo l'Angelo Michele» (lettera a Padre Laffineur del 12 gennaio 1965). Era significativo: il grande Arcangelo non era mai entrato in scena per delle inezie: il suo annunciato ritorno non sarebbe sicuramen­te coinciso con eventi secondari; colui che per primo era venuto, quattro anni avanti, a segnare l'inizio di tutti questi eventi, sareb­be tornato ora per concluderli.

1965: un 'importante comunicazione

Nel pomeriggio della festa del 1 gennaio, Conchita salì ai Pini dove di nuovo ebbe una apparizione. Vi era salita tutta sola; ma una parte della sua estasi fu notata da due testimoni inattesi: Joa­quina (12 anni) e Urbano (9 anni) che scendevano dalla montagna diretti al paese con il loro piccolo gregge di pecore. La notizia cor­se rapidamente di casa in casa. Non mancò di suscitare sorpresa, poiché da mesi e mesi il paese era privo dello spettacolo delle estasi. La giovane lo comunicò subito, a voce, a sua zia Maximina, e più tardi scrisse a Padre Laffineur che durante questa estasi aveva contemplato di nuovo la Madonna e aveva ricevuto una comuni­cazione di primaria importanza. «Il 1 gennaio ho visto di nuovo la Madonna ai Pini. Sembrava avesse la stessa età della prima volta, circa 18 anni. Portava un vestito bian­co e un manto azzurro. Brillava di una luce prodigiosa, che non feri­va gli occhi e che l'avvolgeva completamente. Non so se le apparizioni ricominceranno, sia per me sia per tutte e quattro. Ma la Madonna darà un nuovo messaggio, poiché mi ha detto: "A quell'altro (quello del 18 ottobre 1961) hanno fatto appe­na caso". La Madonna darà dunque un ultimo messaggio» (lettera a Padre Laffineur). Questa comunicazione profetica comprendeva anche un «avver­timento» che Dio stava per dare al mondo. Conchita ne restò molto impressionata... Comunicò dapprima il suo segreto alla menzionata Maximina Gonzàlez, di cui aveva piena fiducia, poi ne fece una breve rela­zione scritta a Padre Laffineur. Tutto quello che Conchita ha det­to da allora sull'avvertimento può così riassumersi: 1) Porterà afflizione e sarà impressionante. 2) Non verrà come castigo, ma con finalità di salvezza: «Affin­ché i buoni si avvicinino ancora di più a Dio e i cattivi si convertano e cambino». 3) Sarà un fenomeno di portata universale; poiché toccherà tut­ti in ogni parte del mondo. 4) Si vedrà chiaramente che si tratta di «cosa di Dio»; e gli uo­mini, davanti a questo, non potranno fare altro che invocare la misericordia divina. 5) Avrà una duplice dimensione, esterna ed interna; tutti lo ve­dranno «nel cielo» e, nello stesso tempo, ciascuno proverà in sé la terribile esperienza di quel che è veramente il peccato: la perdi­ta di Dio. 6) Si produrrà sicuramente prima del miracolo, ma il giorno e l'ora non sono stati rivelati. 7) Sarà probabilmente un periodo di misteriose tenebre, duran­te il quale non ci sarà altro rifugio, altra consolazione che la pre­ghiera. Per quanto importante fosse questa comunicazione, si propagò solo debolmente e non causò grande emozione... L'attesa più feb­brile era rivolta verso l'altro annuncio, quello del ritorno dell'Angelo nel mese di giugno. Per molti, più si avvicinava la data, più il verificarsi di quell'an­nuncio era causa di inquietudine. E se non fosse successo niente? Se fosse stato un nuovo fallimento? Coloro che erano stati più stret­tamente coinvolti nelle apparizioni si mostravano più ansiosi: il parroco Don Valentin, Placido Ruiloba, i genitori delle veggen­ti... Il parroco, avendo saputo che Conchita spediva delle lettere, la fermò un giorno per strada e le disse brutalmente: «Ma sei pro­prio sicura? Non sarà una bugia o una tua immaginazione? » L'atmosfera del villaggio è così descritta nel libro L 'Étoile dans la Montagne: «Tra le famiglie delle veggenti dissensi e discussioni, a volte invidia; tra i paesani, critiche, esitazioni, im­prudenze, persino impertinenze riguardo la visita dell'Angelo. Tut­tavia serpeggiava una fiducia latente. Un desiderio più o meno dis­simulato di vedere ciò che sarebbe successo, dal momento che da due anni non si era piu visto niente».

La folla accorre di nuovo a Garabandal

La notizia era arrivata a molti, in Spagna e all'estero: il 18 giu­gno si avrà una nuova apparizione dell'Arcangelo San Michele che porterà un secondo messaggio, ancora più importante. Il 17 era giorno di festa, la grande giornata eucaristica dell'an­no: il Corpus Domini. Sin dalla sera arrivarono a Garabandal i vi­sitatori, che continuarono ad affluire per tutta la notte fino al mat­tino del giorno solenne. Abbondavano gli stranieri. Qualcuno li contò: 200 francesi, 10 americani, 6 inglesi, 4 italiani e alcuni rappresentanti di molti al­tri paesi. Ci dovevano essere anche molti sacerdoti, ma erano ri­conoscibili solo i dieci che indossavano l'abito. Secondo un testimone oculare, Padre Laffineur, il comportamen­to di tutta quella folla, stranieri e spagnoli, «fu esemplare e pio, rispettoso e penitente. Quasi tutti quelli che erano presenti si era­no comunicati durante una delle tre messe mattutine». Numerosa era anche la presenza di giornalisti nonché di alcuni reporter della radio e della televisione (italiana). A partire dalle 3 del pomeriggio, la folla in attesa intorno alla casa di Conchita divenne impressionante: l'attesa sarebbe stata mol­to lunga. Erano già le 22 quando un sacerdote dalla porta di casa annun­ciò: «Da parte di Conchita, che tutti si dirigano alla "Calleja", nel luogo chiamato "Cuadro"». Tutta la folla si diresse precipitosamente e incespicando verso il luogo indicato. Laggiù, la calma a poco a poco si ristabilì... due cori pregavano ad alta voce, alternando lo spagnolo al francese. Si pregava al buio, sotto un firmamento stranamente luminoso di milioni di stelle scin­tillanti. Finalmente, avvenne quello che tutti aspettavano: «Conchita, seguita da alcuni sacerdoti e da sette guardie civili - scrisse il giornalista catalano Poch Soler - risalì la "Calleja" in stato assoluta­mente normale: avanzava con lo sguardo fisso, nonostante i flash dei fotografi non smettessero di bersagliarla. Una guardia civile le chiese: "E qui, Conchita?" "No, è un po' più in su". E, arrivando nel luogo segnalato, cadde in ginocchio sulle pie­tre taglienti del sentiero: l'estasi era cominciata». Alla luce delle numerose lampade, sotto i proiettori degli opera­tori televisivi, si poteva vedere perfettamente la miracolosa tra­sformazione del suo viso. Dapprima era sorridente, ma in seguito «mi spaventò terribilmente vederla piangere - ha scritto Padre Luna di Saragoza - piangere come non avevo mai visto fare fino a quel momento. Dai suoi occhi sgorgavano grosse lacrime, e la sentii di­re con una voce rotta, affannosa: "No, no... non ancora... perdo­no... perdono... perdono..." e poi con un angoscioso spavento: "Sa­cerdoti? Vescovi?..." » Il giorno seguente vennero comunicati per iscritto i principali punti del messaggio che era venuto a comunicare l'Arcangelo San Michele.

Siete agli ultimi avvertimenti

 

«L 'Angelo ha detto: "Siccome non si è compiuto, non si è fatto sufficientemente cono­scere il mio messaggio del 18 ottobre, voglio dirvi che questo è l'ultimo: - Prima la coppa si stava colmando, ora trabocca. - Cardinali, Vescovi e sacerdoti camminano in molti sulla via della perdizione e trascinano con loro moltissime anime. - All'Eucarestia si dà sempre minore importanza. - Dovete, con i vostri sforzi, evitare la collera del buon Dio che pesa su di voi. Se Gli chiederete perdono con animo contrito, Egli vi perdonerà. Io, vostra Madre, per mediazione di San Michele, voglio esortarvi alla conversione. Questi sono gli ultimi avvertimenti. Vi amo molto e non voglio la vostra condanna. - Pregate sinceramente, e Noi vi esaudiremo. - Dovete fare più sacrifici. - Meditate sulla Passione di Gesù».

 

 Il messaggio non è lungo, ma il contenuto è molto denso. Colui che lo legge con semplice curiosità non ne trarrà alcun profitto: occorre meditarlo. In questo messaggio c'è: - una denuncia della pessima situazione morale e spirituale del mondo - un avvertimento di ciò che ci minaccia se non cambiamo - un'esortazione ad operare questo cambiamento prima che sia troppo tardi. Le reazioni furono diverse. Non pochi ebbero la conferma dei loro presentimenti; altri furono positivamente «toccati»; gli scet­tici continuarono, come prima, a dubitare, negare o combattere. La frase: «I sacerdoti camminano in molti sulla via della perdi­zione» sollevò una tempesta in alcuni ambienti clericali. Il Vesco­vo riaffermò la sua posizione in una quarta Nota, che non aggiun­geva niente di nuovo; salvo l'espressa dichiarazione che tutto quello che concerneva Garabandal non conteneva «nulla di ecclesiasticamente condannabile, né nella dottrina, né nelle raccomandazioni spirituali rivolte ai fedeli».

Congedo sotto la pioggia

Gli osservatori più perspicaci ebbero subito l'impressione che i fatti del 18 giugno erano l'epilogo, la chiusura degli eventi di Ga­rabandal. Tutto ciò non sarebbe continuato indefinitamente. Le protago­niste avevano smesso di essere delle «ragazzine». La situazione co­minciava ad essere molto diversa. Quelle quattro ragazzine non avevano più motivo di restare nel loro paese ad attendere i sorprendenti interventi dal Cielo. Ave­vano bisogno di vivere come tutti, di pensare al loro futuro, rea­lizzare concretamente la loro esistenza. Fino a quel momento, ad eccezione di Mari-Cruz, avevano pen­sato di consacrarsi a Dio in qualche congregazione religiosa. L'a­vevano detto o lasciato intendere in più occasioni. L'8 settembre 1965, Conchita lo disse a Padre Laffineur nel corso di un lungo e serio colloquio che ebbe con lui a Torrelavega (Santander): «Le mie compagne ed io pensavamo al convento fin dai primi giorni delle apparizioni. Nessun sacerdote ce l'ha messo in testa. Quan­do tutte e quattro avremo lasciato il villaggio, sarà il momento mi­gliore per salire a Garabandal: allora la gente ci verrà solo per la Madonna». Il 30 settembre, le due amiche Loli e Jacinta partirono per Sa­ragoza. Un sacerdote di quella città, Don Luis Jesus Luna aveva preparato tutto perché le due ragazze potessero entrare gratuitamente nell'internato che le Suore della Carità di Sant'Anna diri­gevano nella cittadine aragonese di Borja. Le due ragazze avevano già 16 anni. Era la prima volta che abbandonavano il loro paese, e, benché attratte in certa misura da quella nuova vita, tuttavia ne soffrirono molto. Si dice che Loli, nel giorno del suo congedo, inzuppò due fazzoletti di lacrime... Conchita le vide partire anch'essa con gli occhi lucidi. Per setti­mane aveva creduto di poterle precedere andando al Pensionato delle Carmelitane Missionarie di Pamplona, come aveva detto ai suoi familiari. Ma sua madre, Aniceta, vi si oppose con una osti­nazione accanita. Non si opponeva al fatto che sua figlia diventas­se una religiosa, ma doveva partire alla data convenuta. Perché? Padre Luna voleva portare Conchita a Roma, perché laggiù l'a­vrebbero ascoltata più che a Santander, dove era appena arrivato un nuovo Vescovo, nemico giurato delle apparizioni, Don Vicen­te Puchol Montis. Il viaggio a Roma era organizzato per la prima quindicina di settembre, ma poi non poté realizzarsi a causa delle manovre del Vescovo di Santander presso la curia romana. Fu ne­cessario rimandarlo «sine die», ma Aniceta decise che sua figlia non si sarebbe separata da lei fino a quando non fosse andata a Roma. Cominciarono così per la povera ragazza interminabili settima­ne, poi mesi di attesa. Talvolta si consumava nell'impazienza, as­saporando amaramente la sua solitudine. Spiritualmente, non po­teva contare su nessun aiuto, su nessun consiglio autorizzato, poi­ché Garabandal era un paese pastoralmente abbandonato; talvol­ta sentiva il demonio che si aggirava intorno a lei e le prove inte­riori non le mancavano. Il 30 ottobre, ultimo sabato del mese del rosario, Conchita si recò alla chiesa del paese per fare la sua abituale visita al Santo Sacramento, e all'improvviso senti dentro di sé un linguaggio che non poteva confondere, quella della Vergine Maria. Non solo la Madonna le portò ineffabile consolazione, ma le fissò la data di un nuovo incontro: «Sabato 13 novembre sali ai Pini e Mi vedrai di nuovo. Mi porterai molti oggetti religiosi, io li bacerò perché tu li distribuisca, e mio Figlio con questo mezzo opererà dei prodigi». Alla data indicata, al calar del sole, sotto una pioggia battente, Conchita lasciò le persone che si trovavano nella sua cucina di ca­sa, e, senza dare spiegazioni, salì ai Pini. «Pioveva... mentre salivo tutta sola alla collina, pentendomi dei miei difetti e ripromettendomi di non commetterne più, poiché ero imbarazzata a presentarmi così davanti alla Madre di Dio, alla quale queste mancanze causano tanto dolore... Credo che in me questi pec­cati siano ancor più gravi, giacché io ho avuto il privilegio di vederLa. Giunta ai Pini, tirai fuori tutti i rosari che portavo con me. Sen­tii allora una voce molto dolce e chiara, quella della Vergine Santissi­ma (si distingue molto bene da tutte le altre!) che mi chiamava per nome. Vidi allora la Madonna con il Gesù Bambino in braccio. Ve­niva vestita come sempre e molto sorridente. Le dissi: "Son venuta a portarTi i rosari perché Tu li baci". Ella rispose: "Lo vedo". Avevo un chewing-gum in bocca. "Conchita, per­ché non sputi quel chewing-gum e non offri questo come sacrificio alla gloria di mio Figlio?" Lo tolsi con vergogna dalla bocca e lo but­tai per terra. E continuò: "Ti ricordi quello che ti ho detto, il giorno del tuo onomastico, che tu soffrirai molto sulla terra?... Ebbene, te lo confermo nuovamente. Però tu abbi fiducia in Noi, e deponi tutto nei Nostri Cuori, per il bene dei tuoi fratelli, così ci sentirai sempre ac­canto a te". Io Le dissi: "Quanto sono indegna, o Madre, di tante grazie che mi accordate! E venite ancora verso di me oggi per alle­viare la pena della piccola croce che sto portando in questo mo­mento"... "Conchita, io non vengo solo per te, vengo per tutti i miei figli, con il desiderio di attrarli tutti verso i Nostri Cuori... Ed ora, dammi da baciare tutto quello che hai portato. Dopo aver baciato tutto, la Madonna mi disse: "Mio Figlio, attra­verso tutti i baci che ho dato a questi oggetti, si servirà di essi per fare dei prodigi. Distribuiscili agli altri..."» La Vergine si interessò poi delle richieste e petizioni che Con­chita porgeva da parte delle diverse persone che gliele avevano con­fidate ed aggiunse con un intimo sfogo: «Parlami Conchita, parlami dei miei figli! Li proteggo tutti sotto il mio manto». «Ma questo manto è piccolo, non ci stiamo tutti sotto». La Ma­donna non poté fare a meno di sorridere. E in un altro momento dell'indimenticabile colloquio, la Santa Vergine disse alla veggente: «Sai, Conchita, perché non sono venuta io stessa il 18 giugno a recarti il messaggio da rivelare al mondo? Per­ché mi addolorava dirvi quelle cose. Ma voi dovevate saperle per il vostro bene e, se osserverete il contenuto del messaggio, sarà a gloria di Dio. Io vi amo molto e desidero vivamente la vostra salvezza: riu­nirvi qui, in Cielo, attorno al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo! Tu, Conchita... potremo contare su di te?» «Se Ti vedessi sempre allora sì, ma altrimenti... non so... per­ché sono molto cattiva». «Fa' da parte tua quel che puoi e Noi ti aiuteremo, come aiutere­mo anche le mie figlie Loli, Jacinta e Mari-Cruz». In un altro momento: «Conchita, devi visitare più spesso mio Fi­glio nel Tabernacolo. Perché non gli fai visita, e ti lasci prendere dalla pigrizia? Egli vi sta aspettando giorno e notte... » La ragazza dovette sentirsi molto commossa di fronte a questo materno rimprovero. Ci furono alcuni attimi di silenzio che Con­chita osò rompere con questo sfogo: «Ah, come sono felice quan­do Ti vedo! Perché, Madre, non mi porti con Te?» «Ricordati di quello che ti ho detto il giorno del tuo onomasti­co: presentandoti davanti a Dio, dovrai mostrarGli le tue mani piene delle tue opere fatte in favore dei tuoi fratelli e per la gloria di Dio... Ora, sono ancora vuote». «Mi sembrava - scrisse Conchita in una lettera - che fosse stata con me solo poco tempo, e alla fine mi disse: "Questa è l'ultima vol­ta che mi vedi qui, ma io sarò sempre con te, e con tutti i miei figli". Come ho detto precedentemente, pioveva molto, ma la Madonna e il Bambino non si bagnavano affatto, e neanch'io finché restai in Loro presenza. Ma non appena furono scomparsi, sentii le gocce che mi bagnavano... » Questo fu l'episodio di sabato 13 novembre 1965 a Garaban­dal, ultimo di una storia senza pari che noi non siamo ancora in grado di valutare con sufficiente prospettiva. In maniera ineffabilmente materna, la voce della Madonna era sfumata quando disse a Conchita: «E l'ultima volta che mi vedi qui». Quello che era cominciato quattro anni prima con un poderoso tuono, in una radiosa giornata di giugno, si concludeva ora, senza rumore, in una scura serata di novembre: «Pioveva... Salivo sola... » Non ci saranno più quegli incontri meravigliosi, in quel luogo dove erano stati così numerosi. Quello era il finale. Il congedo sotto la pioggia. Fino a quando? Quanto aveva familiarizzato la Vergine, Madre di Dio e nostra, con tutti quelli di Garabandal e con quanti a Garabandal voleva­no incontrarla! «Si interessava ad ogni nostra cosa - ricorderà Con­chita con gli occhi umidi... - Di tutto! persino delle nostre mucche!» Qualcuno ha detto: «E’ la storia più bella dell'umanità dai tem­pi di Cristo. E stata un po' come una seconda vita della Vergine sulla terra: e io non ho parole per ringraziarLa di tutto questo» Da quell'addio sotto la pioggia, questi fatti cominciarono a es­sere storia... Ma una storia che non si altera con il passare del tempo, che non sbiadisce, perché resterà sempre qualche cosa di ineffabi­le e di salvifico, che ritroveranno in quel villaggio coloro che vi si recheranno con fede, allo scopo di trovare in se stessi la più alta speranza e il più grande amore. «Non mi vedrai più qui, ma Io sarò sempre con te, e con tutti i miei figli». E l'ultima e la più bella parola di Garabandal.

 

EPILOGO

Abbiamo dunque visto che sabato 13 novembre 1965 la serie dei «fenomeni» di Garabandal è terminata. Da quel giorno, infat­ti, non è successo più nulla. Ma ora si pone una domanda: quel giorno, la storia di Garabandal: - si è veramente conclusa? - o è stata solo interrotta? La mia personale impressione è che si tratti di una semplice in­terruzione. Mi pare infatti abbastanza evidente che la storia di Ga­rabandal non ha avuto conclusione, rimasta troncata come un dram­ma che per qualche motivo s'interrompe all'improvviso, con dei punti di sospensione... ma che esige e deve avere un suo finale. Penso che la storia di Garabandal sia una straordinaria parabo­la in tre tempi. Un primo tempo, a carattere prevalentemente personale e loca­le, di meraviglie e comunicazioni intime, tempo terminato quel 13 novembre 1965. Un secondo tempo, di parentesi, interruzione, punti di sospen­sione; tempo di scelta e di purezza delle adesioni. E quello che vi­viamo attualmente, con sconcerti, speranze, abbandoni. Un terzo tempo, che stiamo aspettando, il quale possa far luce su molte cose e realizzi delle profezie di portata generale: 1' avver­timento - il miracolo - il castigo. Mi sembra fuori di dubbio che ciò che è veramente successo a Garabanda4 quel che dobbiamo saper cogliere attraverso la fitta selva di innumerevoli dettagli, è un premurosissimo intervento ce­leste perché siamo aiutati in questi tempi così difficili per la Chie­sa e per il mondo. A tale scopo, il Cielo ci ha posto davanti a: - una nuova «epifania mariana» - un richiamo a un maggior rispetto verso l'Eucarestia - un annuncio dell'avvicinarsi di «tempi escatologici». Perché una nuova «epifania mariana»? Perché proprio Maria po­trebbe essere la nostra ultima ancora di salvezza. A Garabandal, la Madonna si è manifestata - di più, si è data a noi - anzitutto come «Madre nostra». Perché «un richiamo a un maggior rispetto verso l'Eucarestia»? Perché la reale presenza del Signore fra noi è ciò che la Chiesa deve assolutamente impedire venga messo in dubbio. Ed è invece ciò che sta accadendo. Perché «un annuncio dell'avvicinarsi dei tempi escatologici»? Per­ché è possibile che questi tempi siano già alle porte; perché non ci permettiamo di perdere di vista quanto sosteniamo nel Credo: «E verrà di nuovo nella sua gloria...»; perché senza un vivo senso dell'attesa, come già osservò Giovanni Papini, la fede non può man­tenersi viva nel cuore degli uomini. Non possiamo perdere di vista che ci sarà un momento finale nella storia. Ha scritto M. Garcia Cordero: «Gli scritti biblici ruotano in­torno ad un dramma teologico che si sta svolgendo in tutta la Sto­ria e che riflette il disegno di Dio per la salvezza dell'uomo e la sua riabilitazione. Dal primo capitolo del Genesi all'ultimo ver­setto dell'Apocalisse è percepibile una sorda lotta tra le forze che si disputano il cuore dell'uomo. L'uomo, esercitando male il suo libero arbitrio, sceglie di vivere separato da Dio per affermare co­sì la sua autonomia... e, da un altro lato, un Potere funesto pare dominare l'umanità cercando di deviarla dalla sua orbita naturale: il Dio della Creazione, che guida il Cosmo e la Storia». L'escatologia è lo studio dell'epilogo finale di questo grande dram­ma che è il cammino della nostra Salvezza. E c'è da chiedersi se Garabandal non abbia una sua dimensione escatologica. Ci sono sufficienti elementi per metterci in allarme e porci di fronte ai «tempi ultimi». - La presenza e il ruolo dominante dell'Arcangelo Michele che appare nell'Apocalisse come l'Angelo dei combattimenti supremi. - L'affermazione senza mezzi termini del messaggio del 18 giu­gno 1965: «Questi sono gli ultimi avvertimenti». - La trilogia «avvertimento - miracolo - castigo» le cui caratte­ristiche obbligano a porla fuori dal corso normale degli eventi celesti. - La ripetuta affermazione che restano, dopo Giovanni XXIII, «soltanto più tre papi», dopo di che si avrà la «fine dei tempi». È possibile che gli eventi di Garabandal si siano verificati per­ché ci ripetiamo l'un l'altro, noi cristiani di queste ultime ore, ciò che si dicevano quelli della prima ora a titolo di saluto e d'incorag­giamento: «Maran Atha!» Il Signore viene. Noi siamo in questa attesa. E in tale attesa tutti noi, convinti della realtà dei fatti di Gara­bandal, ripetiamo senza sosta, come nella festa liturgica di «Ma­ria, Mediatrice»: «Cristo Redentore, che hai voluto che tutti i bene­fici ci pervengano tramite Maria, noi ti adoriamo in ginocchio; Amen! Alleluja!»